Analisi politica (e storica) di un Paese in default, dove i giovani non hanno molte chance.

Lo Sri Lanka in stand by: pesa la conflittualità irrisolta con i Tamil

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Da tempo in default, la “Lacrima dell’India” non emerge dal malessere che viene da lontano: un conflitto interno tra cingalesi e tamil mai del tutto risolto.

Cosa succede nello Sri Lanka?

L’isola di Ceylon – 66mila chilometri quadrati – chiamata la “Lacrima dell’India per la sua forma e la sua vicinanza al gigante indiano, con 22 milioni di abitanti, sta vivendo un presente di grandi difficoltà.

«La gente vive senza speranza del futuro, i giovani si sentono traditi dal sistema politico e cercano di partire, ne sono un esempio le migliaia di srilankesi che vivono in Italia e animano delle vivaci comunità», spiega padre Prinky Priyankara, cappellano degli srilankesi a Milano, durante un recente incontro de I martedì del mondo, a Verona.

Il Covid ha steso l’economia, che viveva quasi esclusivamente di turismo.

Ma ripercorriamo assieme la storia più recente per capire meglio.

E’ il 18 aprile 2022 quando la Banca Centrale ne annuncia il default, ovvero che non pagherà la rata di 78 milioni del debito.

Si scatena la crisi: l’inflazione vola al 40% con la conseguente svalutazione della moneta.

Volano i prezzi, compresi quelli dei beni di prima necessità che iniziano di lì a poco a scarseggiare.

In poco tempo manca anche la benzina, e il Paese si ferma.

A luglio del 2022 la gente per protesta assalta i palazzi del potere.

Il presidente Rajapaksa si dimette e fugge.

Questa è la cronaca di un malessere che viene da lontano, da un conflitto interno tra cingalesi e tamil mai del tutto risolto, da interessi di geopolitica che vede la Cina dilagare.

Il Fondo Monetario Internazionale, a trazione statunitense, è venuto in soccorso con un prestito di 2,9 miliardi di dollari ma si sa, l’ossigeno di oggi è un altro debito domani.

Il 60% delle famiglie deve fronteggiare una crisi alimentare senza precedenti, afferma Caritas Sri Lanka.

Il Paese è strategico nella partita commerciale tra l’India (e gli Stati Uniti) e la Cina per le cosiddette nuove Vie della seta, la cui direttrice marittima inevitabilmente fa scalo sulle sponde dell’Isola di Ceylon.

Negli ultimi anni la Cina è riuscita a conquistarsi importanti spazi commerciali tra il disappunto dell’India, troppo vicina alle coste srilankesi per non considerarle nella propria orbita di influenza.

La Cina si è inserita offrendo al governo di Colombo facilitazioni creditizie per finanziare il debito, divenendo così il primo investitore estero e socio commerciale del Paese.

E poi con l’elargizione di investimenti per opere infrastrutturali che, nell’impossibilità di pagarle, si trasformano in concessioni a lungo termine, come è stato il porto strategico di Hambantota, nel Sud dell’isola, concesso al 70% per 99 anni ad una impresa cinese.

È la trappola del debito! L’India ha risposto perorando la causa srilankese presso il Fondo Monetario Internazionale, che ha concesso credito al governo di Colombo, riducendo così la pressione cinese.

E’ tutto da vedere quale sarà la prossima mossa dello scontro sulle vie commerciali della seta.

Nel frattempo la famiglia Rajapaksa, da quasi 20 anni al potere, ci ha messo tutto l’impegno possibile per cancellare le accuse di violenze con le quali il governo di Colombo nel 2008 ha smorzato la guerriglia Tamil.

La guerra civile nello Sri Lanka è durata dal 1983 al 2009, causando 100mila vittime. La minoranza tamil vive nella regione Nord ovest del paese, che confina con lo Stato indiano di Tàmil Nàdu, è di religione induista e rappresenta il 18% della popolazione.

Da sempre i tamil si considerano lasciati ai margini dalla maggioranza cingalese del Paese, il 75% della popolazione.

Ma negli anni Ottanta, le Tigri Tamil abbracciarono le armi per rivendicare l’indipendenza della regione. 26 anni di guerra civile, finita nel massacro del 2008 quando l’esercito spinse i civili tamil verso una no-fire zone, puntualmente bombardata.

Secondo le stime dell’Onu morirono 70 mila persone.

Finita la guerra partirono le accuse di crimini di guerra che ancora pesano sulla famiglia Rajapaksa.

La Chiesa cattolica nello Sri Lanka è decisa a non stare in silenzio di fronte all’impunità ed esige chiarezza anche sui fatti del 21 aprile 2019 quando otto attentatori suicidi di matrice islamica presero di mira due chiese cattoliche, una chiesa evangelica, tre hotel di lusso, uccidendo nel complesso 269 persone e ferendone più di 500.

Tra costoro 171 i fedeli cattolici uccisi mentre si trovavano a messa, nelle chiese cattoliche di San Sebastiano e Sant’Antonio.

Il cardinale Ranjith, arcivescovo di Colombo, ha ribadito che la Chiesa cattolica da cinque anni chiede giustizia e verità, un appello ancora inascoltato dalla politica, e ha annunciato un’indagine indipendente per accertare i fatti, le responsabilità e le complicità degli attentati del 2019.

A cinque anni da quei tragici eventi, nel giorno dell’anniversario, la Chiesa locale ha promosso una raccolta di firme per avviare la procedura per il riconoscimento del martirio per i 171 fedeli cattolici uccisi.