Mai giornata di guerra fu più soggetta alla doppia narrazione.
Mai nulla (forse) è stato raccontato e reso nei dettagli con due prospettive, due esiti e due sentimenti così diametralmente opposti, quanto il raid israeliano al campo profughi di Nuseirat l’8 giugno scorso.
Questa data segna il successo estremo dell’Idf che ha riportato a casa la ventiseienne Noa Argamani, (diventata icona del 7 ottobre), il giovane Almog Meir Jan, di 22 anni, Andrey Kozlov di 27, e Shlomi Ziv, di 41.
E nel contempo rappresenta la tragedia per eccellenza per 270 civili palestinesi (dei quali non conosciamo i nomi), trucidati senza pietà e via di scampo, colpiti in casa o in strada, sorpresi dall’esercito durante il giorno, in un affollato sabato di mercato.
Un bambino è stato ammazzato con il boccone ancora in bocca, mentre masticava il suo pranzo, racconta Middle East Eye. (qui)
«Le bombe cadevano su di noi, mentre gli elicotteri sorvolavano l’ospedale.
Non potevamo muoverci tra gli edifici dell’ospedale», racconta al quotidiano, Mosad Munir, dello staff sanitario dell’Awda Hospital di Nuseirat.
«C’erano droni a quattro motori che ci sparavano addosso dall’alto.
La gente correva in tutte le direzioni nelle strade, e noi non potevamo uscire per soccorrerle».
In questo caso la doppia verità, il doppio binario (che però per la Storia avrà una sola interpretazione), ha avuto il massimo risalto sui giornali: le immagini di giubilo di Noa Argamani che riabbraccia suo padre, hanno aperto tutte le prime pagine dei quotidiani israeliani, dal Jerusalem Post, ad Haaretz a Yedioth Ahronoth.
Fino alla gran parte della stampa europea e statunitense.
Mentre la strage profondamente crudele del campo profughi di Nuseirat ha trovato spazio su tutti i quotidiani arabi, segnando ancora una volta la Nakba del popolo palestinese, destinato ad uno sterminio senza pietà.
Mentre per il Times of Israel era il giorno del ricongiungimento e della festa (le foto della famiglia riunita dell’ostaggio Andrey Kozolv hanno fatto il giro del mondo);
per il Palestine Chronicle, per l’agenzia di stampa Waafa, per Al Jazeera e Middle East Eye è stato lutto e nero profondo.
E anche per il turco Anadolu Ajansı che ricorda come «Egitto e Giordania condannino l’attacco di Israele al campo profughi di Nuseirat».
Perché il punto cruciale di tutta questa storia, spiegano i rappresentanti delle Nazioni Unite e ripete da sempre Francesca Albanese, è che nulla può giustificare, dal punto di vista del Diritto, la strage di centinaia di vittime innocenti.
Neanche la liberazione di decine di ostaggi altrettanto innocenti.
«Dei 270 palestinesi che Israele ha ucciso per liberare i quattro ostaggi, come per tutti gli altri 37mila già ammazzati, non sappiamo nulla, se non che tra di loro c’erano anche donne e bambini, che non avevano alcuna colpa – scrive Stefania Ascari, deputata e coordinatrice dell’Intergruppo parlamentare per la pace in Medio Oriente-
Si è deciso che le loro vite valessero meno di quelle degli altri e perciò non c’è stato alcuno scrupolo nel sacrificarle.
Ora lo chiamano blitz, ma in qualsiasi altra parte del mondo l’avremmo chiamato atto di terrorismo. Questa è la disumanizzazione che da sempre subiscono i palestinesi».