«Connessione», «collaborazione», «sviluppo sostenibile».
«Attenzione alla persona umana» e «rapporti internazionali win win, con approccio solidale».
I tre pilastri dell’«ascolto, del rispetto e della costruzione reciproca», applicati al settore dell’energia in Africa.
Fino a rievocare una visione “missionaria” del mondo, compresa la citazione esplicita del motto di Daniele Comboni: “Salvare l’Africa con l’Africa”.
È questo in estrema sintesi il “nuovo paradigma aziendale” descritto ieri dagli stessi protagonisti: i colossi energetici italiani coinvolti nel Piano Mattei per l’Africa.
All’Ambasciata d’Italia presso la Santa sede, nell’ambito di iniziative sulla Cura del Creato, si è tenuto l’incontro “Laudate Deum. L’impegno del settore energetico italiano in Africa”.
Una carrellata di interventi e di enunciazioni di principio, dove ‘sacro e profano’ si sono dati la mano. E dove il business dell’energia in Africa è apparso ammantato di filantropia.
Per Francesca Ciardiello, a capo dello Sviluppo sostenibile di Eni, uno degli obiettivi della multinazionale (presente con gas e petrolio da anni in Mozambico, Angola, Egitto e Repubblica del Congo) è «che tutti abbiano accesso all’energia», e che questa sia «sicura e sostenibile».
I portavoce delle maggiori aziende del settore – da Eni ad Ansaldo, da Cesi ad Enel e Terna – si dicono appieno dentro un cambio di paradigma non rapace, rappresentato dal Piano Mattei.
Dopo i saluti istituzionali dell’Ambasciatore Francesco Di Nitto, il Cardinal Peter Turkson ha aperto, presentando la Fondazione Echo (Earth our Common Home).
«Negli anni – ha detto Turkson, che fino al 2021 è stato a capo del Dicastero per lo sviluppo umano – abbiamo molto discusso di energia e presentato l’Interesse del Vaticano per portarla tra le popolazioni locali di base.
Abbiamo cercato di promuovere la transizione energetica di Eni, BP ed Exxon. E le abbiamo incoraggiate. Eni ha voluto farmi membro del loro Consiglio per tre anni».
Il risultato sarebbe un dialogo aperto tra Chiesa e imprese. Che di certo finora ha avuto il merito di contaminare (e modificare) il linguaggio aziendale.
Ciardiello ha parlato ad esempio di «transizione che abbia come traguardo la de-carbonizzazione e tenga insieme le esigenze della persona umana».
Nelle sue numerose analisi ReCommon ci ricorda però che «l’Italia è il primo finanziatore europeo di progetti fossili all’estero».
Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, «l’ammontare garantito da Sace per progetti di carbone, petrolio e gas equivale a 15,1 miliardi di euro.
Il 42% di queste garanzie riguarda progetti realizzati in vari paesi dell’Africa: Mozambico, Nigeria, Egitto».
La comunicazione aziendale, come è evidente, in questo nuovo trend voluto dal nostro Maeci, innova terminologia e target.
Le multinazionali italiane non negano affatto la loro centralità nel mercato energetico africano. Affermano però che lo scopo, a metà tra missione e Cooperazione, sia anzitutto quello di «favorire le comunità svantaggiate, e portare energia dove non c’è».
«L’energia è alla base dello sviluppo umano – ha detto la manager di Eni – Per avere accesso ad una vita dignitosa, tutta la nostra azione persegue questo obiettivo».
Da ricordare, en passant, che più di metà dei profitti della società sono generati in Africa, e che nel 2022 l’utile operativo di Eni ha totalizzato la cifra record di 20,4 miliardi di dollari.
L’Eni ha chiuso il 2023 con un utile netto a 4,7 miliardi di euro, in calo del 66% rispetto al 2022 per via del calo dei prezzi del petrolio.
Di «energia come bene comune ed obiettivo dell’Agenda 2030» ha parlato anche il direttore dell’Acs, Marco Rusconi.
«Avere energia è un fattore abilitante – ha detto – pensiamo alle scuole, che anche in Africa hanno bisogno di energia per funzionare».
I Paesi più citati dai relatori, e con i quali l’Italia è in trattative per grossi progetti di business sono Tunisia, Marocco, Repubblica del Congo, Mozambico.
Rusconi ha citato anche il presidente kenyano Ruto: «la transizione energetica mondiale la facciamo se abilitiamo l’Africa ad essere attore e non comparsa – ha detto –
I Paesi africani hanno creato un’alleanza per l’idrogeno verde: Egitto, Kenya, Mauritania e Marocco hanno firmato una grande alleanza sull’idrogeno verde».
Si chiede Rusconi: «dove può aiutare la Cooperazione italiana? Nella formazione. Accompagnando la formazione di tecnici e ingegneri».
Da ricordare però che in Paesi in buona parte desertici e semi desertici la realizzazione di impianti di desalinizzazione dedicati alla produzione di idrogeno è rischiosa e costosa.
L’idrogeno è un’arma a doppio taglio e per ora viaggia in parallelo con il gas & oil. Ai quali le nostre aziende non hanno alcuna intenzione di rinunciare.