Alla fine è accaduto: la Corte Penale Internazionale dell’Aia, dopo aver raccolto per mesi prove di ogni tipo, visionato materiale video e audio; dopo aver ascoltato «testimoni oculari e sopravvissuti», prende misure per i crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi a Gaza e in Israele.
Il primo atto del Pubblico ministero Karim Khan, in questa direzione, è la richiesta di un mandato d’arresto internazionale anzitutto nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yahya Sinwar (il leader dell’Islamic Resistance Movement, Hamas, a Gaza).
Tra le accuse rivolte al premier israeliano (e al suo ministro degli Esteri, anche lui tra gli imputati) quelle di violazione degli articoli 7 ed 8 dello Statuto della Corte, ma non dell’articolo 6, che riguarda il crimine di genocidio.
«E’ un giorno storico, questo, un giorno storico – ha commentato con Al Jazeera Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati – non è una piccola cosa il fatto che la Corte chieda un mandato d’arresto per un leader israeliano e non solo per crimini di guerra.
Ma per crimini commessi in modo intenzionale e con volontà».
Il primo capo d’accusa è quello di «starvation of civilians as a method of warfare»: ossia, «la fame come arma di guerra», in violazione dell’articolo 7 dello Statuto.
Il secondo riguarda «attacchi intenzionalmente diretti contro la popolazione civile», in violazione dell’articolo 8 dello Statuto, ossia crimini di guerra (infrazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949).
L’uso della fame come arma di guerra contro civili inermi, scrive la Corte, era finalizzato ad:
«eliminare Hamas, assicurare il ritorno degli ostaggi che Hamas aveva rapito», ma anche per «punire in modo collettivo la popolazione civile di Gaza, che loro (Israele ndr.) percepivano come una minaccia».
Queste ultime affermazioni ammorbidiscono di molto l’ipotesi di genocidio, che infatti al momento non è sul tavolo.
La Corte insiste anche molto sull’uso del siege, dell’assedio di Gaza come arma di guerra, da parte di Israele.
Fondamentale è leggere l’intero documento della Corte dell’Aia, sui mandati di arresto, pubblicato sul sito dell’ICC, con le dettagliate motivazioni e i capi d’accusa per i diversi imputati delle due parti. (qui)
«Il mio ufficio sostiene che i crimini di guerra siano stati commessi nel contesto di un conflitto armato internazionale tra Israele e Palestina, e di un conflitto armato non internazionale tra Israele ed Hamas, il quale si sviluppa in parallelo», scrive il procuratore.
Il Tribunale penale internazionale è una istituzione permanente e non ad hoc, serve a fermare i crimini di guerra e non a giudicarli ex post;
lo Statuto di Roma è entrato in vigore il primo luglio del 2002 e riguarda il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.
Una importante clausola dello Statuto della Corte, da non sottovalutare in questo momento, è la complementarietà della Corte alle giurisdizioni penali nazionali.
Il che significa che la Corte dell’Aia non si può sostituire ai Tribunali nazionali se questi esistono e ancora funzionano, come nel caso di Israele.
Lo stesso non si può dire per la Palestina.
A carico dei leader di Hamas la Corte individua la violazione degli articoli 7 e 8 per la «presa di ostaggi come crimine di guerra», «sterminio, stupro e tortura come cimini contro l’umanità», e per «trattamenti crudeli» e «oltraggio alla dignità personale».