Come annunciato da giorni, nonostante il via libera di Hamas all’accordo per il cessate-il-fuoco, i carri armati israeliani hanno preso ieri il controllo del valico di Rafah.
Gaza vive in queste ore il momento peggiore dall’inizio della guerra, il 7 ottobre scorso: il timore più grande è che l’esercito israeliano proceda con una invasione su vasta scala, occupando la città più a sud di Rafah.
Ed impedendo sostanzialmente l’accesso agli aiuti umanitari, sia al confine con l’Egitto, che con Israele stesso, al valico di Kerem Shalom.
«Il cessate-il-fuoco deve essere permanente e immediato», dice con noi al telefono da Gerusalemme padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia a Gaza.
«Purtroppo io non sono potuto rientrare a Gaza», ci conferma.
La tregua permanente «non sarebbe ancora una dichiarazione di pace – prosegue il sacerdote – ma in ogni caso il cessate-il-fuoco è una condizione imprescindibile».
Peraltro, argomenta padre Romanelli, «il passaggio degli aiuti umanitari è un obbligo e non è legato al cessate-il-fuoco, poichè la Striscia non è così piccola da impedire che diversi altri valichi possano restare aperti».
L’attuale situazione sul terreno è drammatica: 1200 sono le vittime israeliane dal 7 ottobre; sull’altro versante almeno 35mila palestinesi sono stati ammazzati a Gaza, tra cui 15mila bambini.
«È una guerra grave – dice ancora il parroco di Gaza – che non farà altro che aggravare le condizioni per entrambi: per Israele e per la Palestina, naturalmente».
Secondo Romanelli l’ingresso dell’esercito a Rafah «non aiuterà di certo la pace».
«Convinti come siamo chiediamo il cessate il fuoco! – dice ancora – Non è una soluzione ma è un passo necessario.
Bisogna garantire che siano curati i feriti gravi che devono andare oltre la frontiera a Sud.
Noi abbiamo diversi feriti nella nostra parrocchia (oramai ospedale da campo), non sono potuti uscire fuori da Gaza e le persone sono private di tutto.
Da sette mesi non mangiano bene, entrano pochi camion di aiuti e beni di prima necessità. Da qualsiasi parte la si guardi è una tragedia».
La comunità cristiana di Gaza era già molto esigua ma con questa ultima guerra «abbiamo già perso il 25% della comunità – dice padre Romanelli – 33 persone sono state ammazzate e 13 sono morte per mancanza di cure e di medicinali, 260 cristiani sono partiti».
Il suo è un appello accorato che non può rimanere inascoltato.