L’isolamento del Sahel dal resto dell’Africa e dall’Occidente, dopo i diversi golpe che si sono succeduti, indebolisce sempre di più le economie locali e getta quei Paesi (il Niger in testa) nello sconforto economico più totale.
Nonostante le sanzioni dell’Ecowas (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) siano state rimosse, l’economia ristagna e gli aiuti internazionali sono drasticamente diminuiti.
La Banca Mondiale stima che circa 1,2 miliardi di dollari non verranno versati nelle casse del Niger quest’anno. Una somma che rappresenta più del 6% del Pil del Paese.
La giunta militare paga lo scotto della sua permanenza al potere dopo il golpe di luglio del 2023, che ha deposto il governo legittimo ed estromesso la Francia dal controllo sul Paese.
Secondo un missionario storico, analista delle dinamiche geo-politiche saheliane, Mauro Armanino, tutto questo è conseguenza della scarsa capacità delle giunte militari di realizzare programmi realistici, e della loro “politica di sabbia”.
La “cacciata” dei francesi dal territorio, inoltre, non avrebbe fatto altro che sostituire un colonialista con un altro colonialista:
«L’espulsione dei militari francesi e americani con le rispettive basi dal territorio nigerino – scrive Armanino – sono andate di pari passo con Trattati di Cooperazione militare, tecnica ed economica con la Federazione Russa».
Ma, come scriveva lo storico Achille Mbembe su Le Monde a pochi giorni dal golpe nigerino,
«la presa del potere militare nelle ex colonie francesi in Africa è il sintomo di trasformazioni profonde che si è cercato a lungo di nascondere, ma la cui improvvisa accelerazione coglie di sorpresa molti osservatori distratti.
Si potrebbe sostenere che sono gli ultimi sussulti nella lenta agonia del modello francese di decolonizzazione incompiuta».
E sono vere entrambe le analisi: l’ondata di sovranismo antifrancese era inevitabile, come dice Mbembe.
Eppure i militari non sono in grado di governare e la loro non è democrazia, come asserisce Armanino.
«In realtà queste lotte sono portate avanti da forze in gran parte interne e annunciano l’inevitabile fine di un ciclo cominciato dopo la seconda guerra mondiale e durato quasi un secolo», scrive ancora Mbembe.
Ma i golpe e la dipartita degli europei dall’Africa hanno sempre un costo: in questo caso il Niger è stato prima sottoposto ad un regime di sanzioni che hanno affamato il popolo. E poi penalizzato dalla fine degli aiuti.
«Hamsa Diakite non riesce a ricordare quale è stata l’ultima volta che la sua famiglia di otto persone è riuscita a mangiare un pasto come si deve.
Lei una volta sosteneva l’intero nucleo famigliare vendendo pane abbrustolito in strada, fino a quando il colpo di Stato di tre mesi fa ha prodotto delle sanzioni economiche che hanno lasciato milioni di persone come lei senza aiuti. “Non solo il cibo è molto caro – dice – ma il materiale scolastico è raddoppiato di prezzo”».
Lo racconta la Associated Press in un reportage dal campo. Ma ne parlano con dovizia di particolari diverse testate africane, da Africa report, che si sofferma sulle responsabilità dell’Ecowas (la Comunità economica dell’Africa Occidentale), ad Africa News che invece introduce il tema del framework di sanzioni europee.
Sia l’Europa che gli altri Paesi africani vicini di casa temono che la modalità del ‘defenestramento’ dei presidenti (filoeuropei) possa espandersi.
Il Benin ad esempio teme di fare la fine del Burkina Faso e del Mali.
Le sanzioni e l’embargo imposto al Niger per mesi (il Paese è stato isolato dal resto del mondo e le frontiere col Niger serrate) vengono analizzate da un interessante report della Banca Mondiale e World Food Programme pubblicato sul sito Relief Web, datato 5 ottobre 2023 che spiega esattamente gli impatti socio economici della crisi politica.
«Il tasso di povertà estrema crescerà al 44,1%, in seguito all’aumento dell’inflazione e alle sanzioni, il che vuol dire 700mila persone in più che entreranno nel novero della povertà assoluta entro il 2023».
Fino a qualche mese fa questa era la situazione:
nella regione di Dosso, ad esempio, a circa 150 chilometri da Niamey, completamente tagliata fuori da tutto e isolata dal resto del Paese e dal confinante Benin, scarseggia il cibo e non arrivano più derrate alimentari.
La testata on line The Food Tech scrive che un sacco di riso da 25 chili importato (di qualità inferiore) che si vendeva tra i 10.500 e 11mila franchi nigerini (16 e 16,6 euro), adesso arriva a 12mila franchi nigerini. Per una famiglia con reddito pari a zero è un incremento insostenibile.
Una precarietà di vita esacerbata dalla siccità, che rende il Niger uno dei Paesi senza speranza in tutto il Sahel.
La distruzione ambientale, sul tutto il delta del Niger, completa il quadro dello sgomento africano: il giornale on line The Conversation racconta che «i problemi ambientali nelle comunità di Bille, Andoni, Okirika, Emohua e Ibaa sono determinati dal gas flaring, fuoriuscite di petrolio, inquinamento delle acque e attività estrattive».