Lo Zimbabwe cerca di risollevarsi dalla corrotta dittatura di Robert Mugabe (durata 37 anni), facendo giustizia dei torti subiti, soprattutto sul fronte del furto di diamanti. Ma l’ex presidente non collabora. Tutt’altro.
Si rifiuta di presentarsi dinanzi alla Commissione parlamentare che dovrebbe far luce sulla sparizione di 15 miliardi di dollari di proventi in diamanti.
Le risorse preziose delle miniere di Marange sono state per anni sottratte al popolo, a vantaggio di una ristretta èlite oligarchica formata dall’ex presidente, dalla casta dei militari al potere e dalla Central intelligence Organization (una sorta di Cia locale) che deteneva segretamente il 50% delle azioni della compagnia di Stato.
Questi ed altri attori (tra i quali investitori privati cinesi, ghanesi ed europei) si sono più o meno equamente spartiti i proventi dei minerali preziosi per decenni.
Mentre i minatori dello Zimbabwe, legali ed illegali, costretti a lavorare ai limiti dello schiavismo, morivano di stenti guadagnando le briciole. E il popolo veniva tagliato fuori dai servizi pubblici – scuola, sanità ecc… – che Mugabe finanziava col contagocce.
L’ex presidente, oggi 94enne, questa settimana non si è presentato in Commissione parlamentare d’inchiesta che dovrebbe giudicare i crimini commessi.
In particolare per dar conto di quei 15 miliardi di dollari in diamanti del 2016, spariti nel nulla.
Avrebbe dovuto testimoniare proprio di fronte alla Mines and energy committee del Parlamento (che si occupa di monitorare l’uso delle infinite risorse energetiche dello Zimbabwe incamerate ad uso esclusivo dei padroni), ma non lo farà.
Evidentemente Mugabe (politicamente fuori dai giochi da novembre 2017, quando Emmerson Manangagwa, defenestrato dalla first lady Grace, è riuscito a tornare in sella e prendere il potere) non ha alcuna intenzione di ammettere le sue colpe.
«A dispetto delle iniziali promesse, i diamanti non hanno mai beneficiato il popolo dello Zimbabwe – scrive la ong britannica Global Witness in uno dei suoi report del settembre 2017, dal titolo An inside job – Al contrario, essi hanno fornito un budget segreto alle forze di sicurezza dello Stato, costantemente impegnate nell’opprimere il popolo.
Questo comporterà serie implicazioni per il futuro democratico dello Zimbabwe, e solleva molti dubbi sulle affermazioni di Mugabe, secondo il quale sarebbero stati gli investitori stranieri a far sparire miliardi di dollari di proventi dai diamanti».
Da un pezzo del News Day di aprile sulla saga dei diamanti, si apprende che «l’ex presidente dell’ex Zimbabwe Mining Development Corporation, la compagnia di Stato, ha confessato che la polizia deteneva una quota del 20% delle miniere. Mentre altre quote erano private e andavano ad un uomo d’affari ghanese e a vari cinesi impegnati nel business.
Un 24% di quote era destinato alla William Ato Essien’s Bill Minerals. Per il resto ci pensavano i servizi segreti a papparsi la restante metà delle quote.
Ma anche il ruolo della Cina, sia nel settore dei diamanti che in quello delle altre risorse naturali è enorme e cresce anche ora, poiché i cinesi influenzano indirettamente anche le scelte politiche.
«In anni recenti – scrive Asia Nikkei – quando le potenze occidentali hanno iniziato a prendere le distanze dal governo sempre più autoritario di Mugabe, la Cina ha rappresentato linfa vitale per la traballante economia dello Zimbabwe, finanziando l’esercito e pompando capitali nel settore delle costruzioni, delle miniere, dell’energia e anche in quello agricolo».
Il volume commerciale tra i due Paesi ha superato il miliardo di dollari e nel 2015 il presidente cinese Xi Jinping ha promesso alla controparte altri 4 miliardi di dollari in aiuti e investimenti.
Oggi il presidente Emmerson Mnanagagwa appare come un populista che promette di fare il contrario del suo predecessore e che però sta spingendo il Paese verso un liberismo ed un liberalismo definiti dagli analisti “fin troppo spinti”.
Con provvedimenti come quello di liberalizzare le coltivazioni di marijuana per uso curativo e scientifico o la decisione di far partecipare chi ‘opera’ nel settore commerciale dell’industria sessuale al Trade Fair, un evento commerciale internazionale.
In che direzione andrà il Paese e che futuro aspetta il popolo è difficile prevederlo: si attendono le elezioni presidenziali e politiche di luglio di quest’anno, per capire meglio cosa bolle nel pentolone di Mnanagagwa e cosa propongono in alternativa gli altri candidati.
Foto tratta da: https://www.voazimbabwe.com/a/anjin-investments-rehired-workers-marange-diamonds-sodomy-claims/1486243.html