«Ho appreso della morte di don Francesco e a nome della nostra Chiesa di Padova esprimo la vicinanza alla vostra sofferenza.
Da tempo sapevamo della sua precaria salute e questo momento doloroso era prevedibile anche se speravamo di allontanarlo il più possibile, tanto che era mia intenzione venire a trovarlo in occasione della mia visita in Brasile a luglio».
Così scrive il vescovo di Padova, Claudio Cipolla alla Chiesa di Petropolis, in Brasile, ricordando la morte, lo scorso 6 maggio, di don Francesco Montemezzo, missionario storico.
«La morte lo ha colto in questo tempo di Pasqua che ci aiuta ad aprire il nostro sguardo alla certezza di una vita che non finisce: è nelle mani di Dio che noi consegniamo don Francesco, così come Gesù ha consegnato se stesso al Padre», dice.
Molto amato da tutti, don Francesco era stato colpito da un ictus; originario di Bastia di Rovolon, nasce il 13 luglio 1937 da Egidio e Letizia Frizzarin, famiglia di mezzadri.
Come ci racconta la Chiesa di Padova in un articolo, venne ordinato l’8 luglio 1962 e nel giro di un anno divenne vicerettore del Collegio Dolomiti Pio X a Borca di Cadore e qualche mese dopo gli giunse l’incarico di cooperatore a Dolo.
Nell’ottobre 1963, però, iniziò la sua esperienza come missionario fidei donum nel vicariato apostolico del Napo, in Ecuador, in appoggio ai padri Giuseppini del Murialdo.
La sua scelta missionaria era sempre stata viva fin dai tempi del seminario, poi ravvivata dalla nascita dell’allora “Seminario per l’America Latina” con sede a Verona. Rimase in Ecuador fino al 1974, prima a Baeza e poi ad Archidona, una grandissima area amazzonica abitata da 10.000 indios, dove formava catechisti indigeni per l’evangelizzazione, mentre si andavano costruendo strade per l’estrazione del petrolio.
A partire dal 1972 fu aiutato da don Tarcisio Marin e don Vincenzo Barison: proprio don Marin, poi diventato comboniano, ricorda che don Francesco era uomo di preghiera e contemplazione.