La crisi dimenticata

Myanmar: la sofferenza di un popolo in ostaggio

Aung San Suu Kyi di nuovo in carcere, ignorata dal mondo

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Sono passati quasi tre anni dal colpo di stato in Myanmar.

Il primo febbraio 2021 la giunta militare ha rovesciato il governo guidato dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi e dal presidente U Win Myint.

Entrambi sono stati arrestati.

Poco tempo fa il figlio della Nobel per la pace Suu Kyi, Kim Aris, ha lanciato un appello disperato perché nessuno ha più sentito sua madre da oltre un anno.

Si sa soltanto che è detenuta nella capitale Naypyidaw e condannata a 27 anni di carcere. Il presidente, invece, ha ricevuto una visita a ottobre ed è rinchiuso a Taungoo.

Ma i parlamentari eletti nel novembre 2020 e arrestati dopo il golpe del 2021 sono moltissimi: più di 140, di cui tre uccisi mentre erano in custodia, uno impiccato nel luglio 2022, almeno 18 quelli deceduti in fuga per le precarie condizioni di salute e l’impossibilità di ricevere cure.

Secondo l’Assistance Association for Political Prisoners (AAPP), a fine 2023 i dissidenti arrestati erano 25.588, dei quali 19.791 ancora detenuti e 2.033 uccisi.

Quello delle donne è un numero record.

L’AAPP riporta che dal febbraio 2021 all’agosto 2023 ne sono state arrestate «per attività anti-regime» 4.883, delle quali 3.770 ancora in prigione e 15 condannate alla pena capitale.

A queste donne che hanno contestato i militari, in una resistenza civile mai vista prima, se ne aggiungono altre 602 cui è stata tolta la vita dai militari.

Questi ultimi non accettano che nell’opposizione ci siano delle femmine: lo stupro è usato e minacciato durante gli interrogatori.

Nei controlli, le detenute sono costrette a restare in fila nude e a subire molestie dalle guardie. Gli assorbenti sono proibiti nel periodo mestruale.

A questi orrori si aggiungono le torture e i bombardamenti su interi villaggi, scuole, ospedali, chiese, pagode. Il governo legittimo, che continua a lottare per la democrazia, ha denunciato 500 bambini morti intorno a 120 istituti distrutti.

La comunità internazionale deve farsi carico del popolo del Myanmar.

Ancor di più adesso che la resistenza si è estesa a tutto il Paese e ha sconfitto su più fronti l’esercito.