Dossier statistico immigrazione: il climate change affama il mondo

Eppure respingiamo: «è in corso una 'cosificazione' dell'umano».

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C’è una stretta correlazione tra cambiamenti climatici, crisi alimentare, Africa e migrazioni.

Sempre di più, nei prossimi anni, i flussi migratori dall’Africa all’Europa e all’interno dell’Africa stessa, saranno spinti dagli effetti nefasti del climate change.

Lo dice il Dossier Statistico Immigrazione 2023 del Centro studi e ricerche Idos presentato stamani a Roma.

«L’interconnessione più evidente è tra clima e fame: il riscaldamento globale affama il
mondo», si legge nel report.

Eppure il mondo respinge gli affamati.

E’ in corso una «cosificazione dell’umano, una cosificazione degli immigrati», così l’ha definita il presidente dell’Idos, Luca Di Sciullo.

«Li vogliamo o morti o segregati e sottomessi, oppure, come ultimo passo della loro cosificazione una merce di scambio», ha spiegato.

«Una moneta tra Ue e paesi di transito – ha detto Di Sciullo – Il vero allarme sociale non sono gli stranieri ma una classe politica astratta dalla realtà, anche emotivamente».

«Incapace di empatia e partecipazione umana alle condizioni di vita dei migranti. Una classe dirigente non all’altezza.

Quello che mette a repentaglio la sicurezza non sono i profughi, ma il trattamento disumano che riserviamo loro».

A dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013 e a meno di un anno da quello di Cutro, «il contrasto all’immigrazione irregolare si sta concentrando non sui trafficanti (da non confondere con gli scafisti alla guida delle imbarcazioni) ma sui migranti, accomunati e confusi nella categoria dell’irregolarità». 

Eppure, in Africa (continente che produce il 2% delle emissioni nocive), entro il 2030 118 milioni di persone saranno colpite dalla crisi climatica.

«Una catastrofe destinata a peggiorare se le temperature medie globali supereranno i 2°C
di aumento (rispetto al periodo preindustriale), con le produzioni di cereali come miglio e
sorgo che potrebbero calare fino al 25% in Paesi come Kenya o Burkina Faso», scrive il dossier.

La fame, alimentata dal cambiamento climatico, è la riprova.

Ma il clima e la fame non sono gli unici motivi all’origine delle grandi migrazioni: la guerra è un altro fattore di spinta.

A fine 2022, dice il dossier, si contano 11,6 milioni di profughi ucraini, di
cui 5,9 milioni sfollati all’interno del proprio territorio e ulteriori 5,7 milioni rifugiati in Paesi
stranieri.

Dei 29,4 milioni di rifugiati sotto il mandato dell’Unhcr, oltre i tre quarti (77%) risiedono in Paesi confinanti, come la Turchia (3,6 milioni), l’Iran (3,4 milioni) o il Pakistan (1,7 milioni).

La crescita significativa rispetto al 2021 (+37,9%) è attribuibile, oltre all’afflusso di rifugiati dall’Ucraina, anche alla revisione delle stime sugli afghani presenti in Iran e Pakistan.

L’85,9% dei rifugiati proviene da soli dieci Paesi. I profughi siriani, 6,5 milioni, costituiscono quasi 1 rifugiato su 5 a livello globale.

A questi, si aggiungono 5,9 milioni di rifugiati palestinesi e loro discendenti sotto il mandato Unrwa, sfollati a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948 e attualmente ospitati in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza».

Un focus specifico è dedicato alla Tunisia e uno al Niger, in Africa.

«L’Ue e l’Italia hanno contribuito alla definizione del ruolo del Niger quale gendarme2
della mobilità attraverso il finanziamento di progetti finalizzati ad addestrare le forze di
sicurezza e dotarle di strumentazioni adeguate».

Le politiche di esternalizzazione stanno determinando una situazione
paradossale: «la normativa criminalizza la mobilità e i progetti per la sua implementazione
rendono le persone migranti ancora più vulnerabili e bisognose di protezione».