Nella sua prima esortazione apostolica Evangelii Gaudium papa Francesco richiamava tutta la Chiesa a vivere una trasformazione missionaria, ricordando la chiamata universale alla missione: «Tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (EG 20). Sono tre le parole di questo testo che vorrei mettere in evidenza: uscire, periferie e coraggio.
Uscire dalla propria comodità non è facile: la nostra natura, ma anche la società del consumismo, ci inducono maggiormente a ricercare e ad attaccarci alle comodità.
Pertanto quel verbo “uscire” richiede una fatica, uno sforzo, un atto di volontà esplicita, una decisione motivata. E questo uscire non è inteso semplicemente come un cambiare luogo.
Papa Francesco ne indica anche la direzione: verso le “periferie”. Le periferie sono i luoghi ai margini, quelle aree scomode dove è difficile vivere, quei luoghi dove si ammassano le persone che non trovano posto al centro, le persone che vengono lasciate ai margini dell’attenzione, ai margini della politica, ai margini dell’economia, ai margini della società.
E risulta chiaro che, per uscire dalla propria comodità e raggiungere quelle periferie occorre veramente molto “coraggio”.
Il coraggio di adattarsi alle scomodità, di incontrare persone costrette a vivere in situazioni veramente difficili e scandalose; il coraggio di ascoltare le storie di vita di quelle persone e di lasciarci rovesciare la coscienza, il coraggio di camminare con loro e condividere la loro lotta per la sopravvivenza.
Lo stesso Gesù ci indica questo percorso: lui che è uscito dalla vita tranquilla e nascosta a Nazareth per iniziare la sua missione nella Galilea, periferia delle genti; lui che si è fatto vicino ai poveri, ai malati, ai lebbrosi, all’umanità sofferente, con un messaggio di speranza e di riscatto per tutti.
Anche i missionari ci danno quotidianamente testimonianza di grande coraggio, della capacità di uscire verso le periferie del mondo e dell’umanità. Sì. Perché ci vuole coraggio per rimanere a fianco della gente che soffre nelle situazioni più disumane e spesso anche pericolose.
Penso al coraggio dei missionari impegnati in regioni dove sono frequenti gli atti di violenza e piccole sanguinarie azioni di terrorismo o di guerra; al coraggio di rimanere in Paesi in cui non si è fatto nulla per prevenire i contagi da Covid e la gente muore per mancanza di ossigeno o per mancanza quasi totale di assistenza sanitaria.
Ci vuole coraggio per affrontare certe periferie dell’umanità in cui la testimonianza del Vangelo espone a rischio la stessa vita del missionario.
In questa luce è particolarmente significativo il resoconto annuale, pubblicato dall’Agenzia Fides, sui missionari uccisi nell’ultimo anno, ripreso e valorizzato nella Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri. Il 24 marzo, in occasione dell’anniversario del martirio di monsignor Oscar Romero, facciamo memoria dei 20 missionari e agenti pastorali cattolici uccisi nel corso del 2020. E insieme a loro vogliamo ricordare tutti coloro che rinnovano ogni giorno la scelta di uscire da loro stessi per donare la vita al Vangelo nelle “periferie” dell’umanità, sia in quelle geografiche, come in quelle che papa Francesco definisce le “periferie esistenziali”.