Come risanare la ferita africana?

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Il prossimo 23 febbraio il mondo si ferma una giornata intera per meditare e rivolgere preghiere ed intenzioni alla pacificazione di due Paesi dell’Africa da troppo tempo in preda a conflitti, violenze e strumentalizzazioni etniche e politiche.

Si tratta del Sud Sudan e della Repubblica Democratica del Congo.

E’ Papa Francesco a volere fortemente che l’attenzione di ognuno di noi si concentri su questi pezzetti di mondo in conflitto, dove a soffrire di più è la gente comune già vittima dell’ impoverimento materiale. Francesco invita proprio tutti, non solo i cattolici e i cristiani, ad unirsi in preghiera. Perché la forza della preghiera è dirompente e viene sempre ascoltata dal Creatore, dice il pontefice.

«Dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo – ha detto il papa all’Angelus del 4 febbraio scorso -, invito tutti i fedeli ad una speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace il 23 febbraio prossimo, venerdì della Prima Settimana di Quaresima. La offriremo in particolare alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan. Come in altre occasioni simili, invito anche i fratelli e le sorelle non cattolici e non cristiani ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme».

Cos’è che accade in questi due Paesi dal punto di vista geopolitico? Nel 2011, dopo oltre 20 anni di guerriglia, le popolazioni dei territori del Sudan meridionale, sottoposte a referendum, ottennero l’indipendenza e nacque il più giovane Stato al mondo: la Repubblica del Sud Sudan.

L’euforia durò poco però. Fu ben presto chiaro che la pace era una chimera: data la disomogeneità di una terra dove convivono più di 60 etnie diverse, e si rincorrono grandi interessi economici legati al sottosuolo ricco di risorse, il Sud Sudan è destinato ad essere conteso.

Dal 2013 ad oggi le tensioni interne si sono trasformate in guerra civile tra le truppe del presidente Salva Kiir e quelle dell’ex vicepresidente Riek Machar, che hanno strumentalizzato le divisioni tra i Dinka e i Nuer e alimentato rivendicazioni storiche. Nell’agosto 2015 fu siglato un accordo di pace che non è mai stato rispettato. Un ultimo tentativo è stato fatto lo scorso 22 dicembre ad Addis Abeba, nella vicina Etiopia, quando le parti si sono impegnate a rilanciare il precedente accordo di pace firmando un’intesa per il “cessate il fuoco”, purtroppo ancora disattesa.

Sorte non migliore spetta alla popolazione dell’ex Zaire, o repubblica Democratica del Congo.
Qui le cose si complicano: tra le terre più ricche di risorse naturali al mondo, attraversata da grandi fiumi e immense foreste, piene di legni pregiati e una ricchissima biodiversità, il Congo possiede minerali di ogni tipo, come il coltan.

La Rdc possiede la metà della riserva mondiale di cobalto utilizzata per le fibre ottiche e per la produzione di armamenti, è il quarto produttore di diamanti, ha immense riserve di uranio, oro, coltan, rame e petrolio.

La storia del paese è stata da sempre condizionata da queste ricchezze e gli interessi ad esse correlati rappresentano il principale motivo di conflitto. Detto ciò è chiaro perché  la famiglia Kabila, al potere dal 1997, non voglia mollar la presa. L’attuale presidente, Joseph Kabila, governa dal 2001, a seguito dell’uccisione del padre Laurent-Désiré. Ma la Costituzione congolese stabilisce che un presidente eletto rimanga in carica per 5 anni e possa al massimo ripetere due mandati.

Joseph Kabila non accenna ad andarsene, contro la volontà del suo stesso popolo. Pertanto la polizia al soldo del presidente usa la violenza per sedare le proteste di chi, invece, lo vorrebbe fuori dall’incarico e chiede nuove elezioni.

Nella sua richiesta di preghiera il papa ha detto: «il nostro Padre celeste ascolta sempre i suoi figli che gridano a lui nel dolore e nell’angoscia, “risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (Sal 147,3).

Rivolgo un accorato appello perché anche noi ascoltiamo questo grido e, ciascuno nella propria coscienza, davanti a Dio, ci domandiamo: “Che cosa posso fare io per la pace?”. Sicuramente possiamo pregare; ma non solo: ognuno può dire concretamente “no” alla violenza per quanto dipende da lui o da lei».

(foto AP/UNAMID tratta dal sito https://www.mintpressnews.com/amnesty-intl-civilians-in-darfur-being-targeted-for-murder-sexual-assault/186629/