Il Covid 19 ha allargato le distanze tra il Nord (che ha a disposizione strutture mediche e vaccini) e il Sud del mondo (che in moltissimi casi non ha nemmeno i test per sapere quante sono le vittime del virus).
«Siamo tutti nello stesso mare, ma non certo sulla stessa barca: c’è chi è su uno yacht e chi su una barchetta che naviga con difficoltà in quel mare di onde che è la pandemia. E questa è una questione seria, visto che l’OMS ha affermato che il mondo non raggiungerà l’immunità di gruppo entro il 2021. In altre parole, il mondo deve prepararsi: il vaccino come soluzione in realtà può diventare un’arma a doppio taglio se l’accesso riguarda i Paesi più ricchi a discapito di quelli più poveri».
Così Nicoletta Dentico, esperta di strategie sanitarie del Global Health Programme at Society for International Development (SID), ha detto a Popoli e Missione, commentando le dinamiche sanitarie tra carenze di approvigionamento, interessi delle big pharma e sovranismo vaccinale nella scacchiera geopolitica.
Un quadro estremamente complesso in cui sono in gioco migliaia e migliaia di vite umane, mentre appare ormai inevitabile che il mondo non uscirà in tempi medio brevi dall’incubo della pandemia. Lo scenario che si prospetta lascia prevedere che il virus continuerà ad essere presente nei Paesi ad alto reddito per i prossimi mesi fino alla fine di quest’anno, mentre per i Paesi poveri che non hanno a disposizione grandi quantitativi di vaccino, ci vorranno anni per intravvedere una luce in fondo al tunnel.
«Nel mercato attuale dei vaccini ci troviamo davanti a due modelli di business – spiega Dentico – uno che lega la produzione dei farmaci all’industria privata (come accade negli Stati uniti, in Europa, Canada, Australia e in altri Paesi occidentali); l’altro che vede protagonista il settore pubblico (sono pubblici gli Istituiti che hanno fatto ricerca sui vaccini in Cina, Russia e a Cuba), e i due modelli sono ora in concorrenza. Il finanziamento pubblico è stato decisivo nel caso dei vaccini, non solo per finanziare la ricerca clinica, ma per rivoluzionarla. Se siamo arrivati in 10 mesi a traguardi che nel passato si raggiungevano in più di 10 anni, è perché la sicurezza del finanziamento pubblico ha permesso alle fasi di studio di non essere fatte in sequenza, ma insieme, mano a mano che la prima arrivava ad evidenziare alcuni risultati incoraggianti e così via».
Un rapporto della kENUP Foundation che monitora la ricerca in ambito sanitario, rivela che in 11 mesi di ricerca farmaceutica su SARS-CoV-2 il settore pubblico ha investito 93 miliardi di dollari; di questo colossale impegno finanziario il 95% è stato destinato ai vaccini – 86,5 miliardi di dollari – e il 5% ai farmaci e ai diagnostici. La gran parte dei fondi pubblici è arrivata da Paesi industrializzati, con il 32% di investimenti dagli USA (attraverso l’operazione WARP Speed), il 24% dall’Unione Europea (tramite la Commissione), il 13% dal Giappone e dalla Corea del Sud.
Mentre oggi in Occidente sono le aziende a determinare le tempistiche delle varie campagne vaccinali nazionali con la proprietà dei brevetti di prodotti così richiesti, nei sistemi a finanziamento pubblico l’andamento della produzione sembra più lineare. La Russia ad esempio ha costruito una serie di alleanze con altri Paesi produttori in Medio oriente, la Cina in tutto il continente asiatico, ma anche in Brasile e Cile dove ci sono importanti aziende di produzioni farmaceutiche
«Gli sforzi globali fatti finora», conclude Dentico, «come ad esempio il programma Covax, risentono di un aspetto importante, ovvero che i protagonisti nel Sud del mondo sono scarsamente coinvolti in sedi internazionali come GAVI e CEPI, i due sistemi di coalizioni sanitarie promosse da Bill Gates dove si fa ricerca biotech e dove si progettano i vaccini. Che rischiano di essere tarati sulle possibilità dei Paesi ricchi. Pfizer ha prodotto un vaccino che ha bisogno di una catena del freddo a -70 gradi, che vuol dire escludere in blocco il Sud del mondo. Pensare insieme vuol dire anche pensare a un vaccino che possa essere distribuito e stoccato in Paesi che non hanno le strutture sanitarie e le infrastrutture del Nord del mondo».