Primo raduno regionale dei sacerdoti stranieri, i “nuovi evangelizzatori”

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Abbiamo bisogno di intraprendenza e audacia, di «uno spirito missionario autentico che, seppure non eroico», sappia «darci la sveglia». 

Che possa veicolare in Europa nuova linfa vitale e l’entusiasmo di una evangelizzazione ridestata.

Abbiamo bisogno come il pane «dei sacerdoti stranieri nel nostro Paese, non in quanto tappabuchi» dei preti che mancano, ma in quanto ricchezza infinita per la Chiesa universale.

«I fidei donum del Sud del mondo portano coraggio, sinergia ed empatia».

Questi i messaggi emersi stamani nel corso dell’incontro all’Università Urbaniana di Roma, dove si è tenuto il primo raduno regionale dei sacerdoti non italiani nel Lazio, organizzato dalla Commissione regionale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese. 

Il moderatore, don Federico Tartaglia, direttore di Missio Porto-Santa Rufina ha evidenziato in apertura dei lavori, il dono prezioso degli oltre mille sacerdoti in Convenzione, fidei donum presenti in Italia e provenienti da diversi Paesi del Sud del mondo.

«Voi siete missionari – ha detto –  oggi più che mai c’è bisogno di voi, c’è bisogno di audacia».

L’ottica non è assolutamente quella strumentale, spesso adottata in senso utilitaristico da chi vede una compensazione alla carenza di vocazioni in Italia, ma di quanti si pongono in ascolto, per ricevere.

«Siete una ricchezza e una risorsa», ha ribadito monsignor Vincenzo Viva, vescovo di Albano e presidente della Commissione Missio Lazio agli oltre 200 sacerdoti stranieri presenti nell’Aula magna del Collegio urbano. «Questo incontro ha lo scopo di puntare un faro su una realtà in crescita», ha aggiunto.

«Lo Spirito Santo ha tanti canali di azione che noi non possiamo neanche immaginare – ha ricordato don Denis Malonda, direttore di Missio Tivoli, originario del Congo – Noi (del Sud del mondo ndr.) Abbiamo conosciuto i missionari che sono venuti nei nostri Paesi, con un credito diverso e con un atteggiamento di superiorità». Oggi, qui in Italia, però è diverso.

«Allora l’Europa era la potenza dominatrice, sia politicamente che economicamente e culturalmente», ha spiegato Maconda.

Don Denis ha aggiunto: «eravamo disposti ad imparare: eravamo noi i destinatari del messaggio, e dovevamo sforzarci per capire. Ma in questo caso è il contrario: noi partiamo dal presupposto inverso».

«Quando sono arrivato nella prima parrocchia in Italia – ha ricordato –  dove ero viceparroco avevano bisogno di un sacerdote per dire messa. E quando ho iniziato l’ho fatto con i gruppi di giovani. Quello sapevo fare! So fare benissimo la pastorale giovanile».

Padre Giulio Albanese, direttore di Missio Roma, ha detto:

«è innegabile che avere un clero proveniente dalle più diverse nazioni o etnie qui nel Lazio è in sé un’enorme ricchezza culturale e spirituale per la Chiesa e per l’intera società italiana.

I presbiteri stranieri, anche i religiosi, sono un dono della fede delle Chiese sparse nel mondo, e testimonianza del fatto che la missione oggi è sempre più intesa come reciprocità».

E in effetti la partecipazione numerosa di stamani – soprattutto di sacerdoti stranieri dalle diocesi di Albano, dove erano presenti in 48, e Alatri, in 20 persone, ma anche di Roma che ha portato 35 presenze in Urbaniana – indica un desiderio di esserci e di contare.

I partecipanti all’incontro si sono poi divisi in 12 gruppi all’interno dei quali hanno discusso, si sono scambiati opinioni, esperienze e storie personali.