Prosegue lo ‘stato d’emergenza’ nelle Maldive, dove il presidente in carica Abdulla Yameen, terrorizzato dall’ipotesi di colpo di Stato, ha mostrato il pugno di ferro nei giorni scorsi, innescando un’ingestibile crisi interna.
La soluzione dell’impasse politica è per ora affidata ad un alto funzionario delle Nazioni Unite che sta cercando di mediare, dialogando con il ministro della Giustizia, per favorire la scarcerazione di due giudici della Corte Suprema, fatti arrestare da Yameen.
Tutto ha avuto inizio quando il Presidente in carica, preoccupato per il rientro in patria dell’ex presidente e leader dell’opposizione in esilio, Mohamed Nasheed, si è opposto ad una sentenza della Corte Suprema che imponeva la liberazione di otto oppositori politici, tra cui Nasheed stesso e diversi parlamentari.
Yameen si è così trasformato in un vero despota, abbandonando la veste democratica: ha fatto arrestare i due giudici della Corte, represso le manifestazioni di piazza accerchiando il parlamento, e infine ha dichiarato lo stato d’emergenza per 15 giorni, giustificandolo col rischio golpe.
A questo punto sono scese in campo le Nazioni Unite, come riferisce il Daily Mail: un alto funzionario Onu in contatto col Presidente, ha informato il Consiglio di Sicurezza del fatto che l’impasse politica potrebbe ulteriormente aggravarsi.
L’uomo chiave è Miroslav Jenca, assistente del Segretario generale Onu Guterres, che ha invitato a non fidarsi della calma apparente nell’isola: «la situazione in realtà è tesa – ha detto – e potrebbe deteriorarsi ancora».
E’ la prima volta che il Consiglio di sicurezza discute di questa crisi da quando è iniziata, il primo febbraio scorso, e per ora al dibattito interno Onu non ha fatto seguito alcun comunicato ufficiale.
Perché l’Onu se ne interessa tanto? Lo scenario si è complicato con l’entrata in scena di due superpotenze interessate a gestire la crisi: Cina e India.
Il braccio di ferro tra l’ex e l’attuale Presidente dell’isola, infatti, implica uno scontro indiretto tra i due colossi regionali. L’India si è sempre schierata con Mohamed Nasheed, mentre la Cina sostiene il presidente in carica.
Il blocco politico dunque rischia di sfociare in uno scontro diplomatico tra i due governi, cinese e indiano, in lizza per la supremazia sull’isola.
Da tempo la Cina è presente nell’Oceano indiano come ‘discreta’ presenza politica (l’idea è quella tipica del governo cinese di non intervento nella gestione interna), ma visibile partner commerciale, in virtù di quella che viene chiamata la strategia della ‘string of pearls’, la collana di perle.
In effetti questo paradiso terrestre meta di turismo occidentale, è ghiotto di ottimi affari per l’intraprendente Pechino, che come scrive The Diplomat, sta finanziando da tempo alcuni progetti di mega infrastrutture nelle Maldive, compreso il cosiddetto ‘Ponte dell’amicizia’ che collega Male all’isola di Hulhule e la costruzione di mille appartamenti nel distretto di Hulhumale.
Quello che all’apparenza è solo un rigurgito antidemocratico nell’isola, rischia di risolversi in una guerra ‘fredda’ tra due colossi che non mollano l’osso: pertanto l’equilibrio è davvero precario.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha intimato a Yameen di sospendere lo stato d’emergenza, mentre il responsabile Onu per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, ha definito le azioni di Yameen «un assalto alla democrazia».