Vietnam, parlano i più giovani: “per il futuro vorrei la felicità”

Interviste e testimonianze raccolte da una missionaria Scalabriniana

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Il Vietnam è cambiato e sta cambiando sempre più rapidamente. Lo raccontano i giovani studenti di varie religioni che Bianca Maisano, Missionaria Secolare Scalabriniana della comunità del Vietnam, ha raccolto per  noi.

 Lungo la strada, nella periferia di Ho Chi Minh City, al mattino presto molte persone sulla sessantina fanno ginnastica con costanza e determinazione.

Salutano i passanti accennando un sorriso.

Molti di loro, da giovani, hanno conosciuto la guerra, e oggi non si sentono pensionati o fuori gioco: si mantengono in forma, in grado di svolgere piccole attività commerciali o artigianali che sostengono la famiglia.

In campagna questo è più evidente per le donne, soprattutto, dai 50 anni in su, impegnate nel duro lavoro nei campi di riso assegnati dal governo per garantire cibo e casa ad ogni famiglia.

Sono loro le profonde radici che assicurano il legame con la terra di origine e permettono alle nuove generazioni di spiccare il volo.

O almeno di tentare.

I giovani, infatti, si stanno silenziosamente ribellando ad un sistema che non permette di sognare, indirizzando le loro energie in altre direzioni: aspirazioni ad un lavoro diverso e, sempre più spesso, la scelta di emigrare.

Una delle impressioni più forti quando si arriva e si vive in Vietnam, provenendo dall’Europa, è il volto giovane di questo Paese.

In una popolazione che raggiungerà proprio nel 2023 i 100 milioni di abitanti, l’età media è di 32,5 anni. Interessanti sono anche i numeri della diaspora: circa quattro milioni di vietnamiti vivono fuori dal Vietnam: la metà negli Stati Uniti, ed il resto soprattutto in Cambogia (600mila), Francia (350mila), Australia (295mila), Giappone (262mila) e Canada (240mila).

In Italia sono solo 1500, mentre in Inghilterra, Svizzera, Russia, Paesi Scandinavi e Germania le comunità vietnamite sono più rappresentate e in crescita.

I giovani infatti, scelgono, oltre ai vicini Paesi asiatici, proprio queste nazioni europee come meta dei loro progetti migratori.

Un altro aspetto che colpisce è l’alto tasso di scolarizzazione: il 94% della popolazione adulta è alfabetizzata.

Tuttavia ci sono delle criticità che penalizzano i bambini e i giovani delle aree rurali, le minoranze etniche, e i figli dei lavoratori immigrati nelle grandi città industriali.

È la realtà che incontriamo ogni giorno in questa periferia: a causa della precarietà e instabilità dei loro progetti migratori, i figli dei lavoratori migranti non sono registrati all’anagrafe della città con la conseguenza che non hanno diritto ad accedere alla scuola pubblica.

Da quando le Missionarie Secolari Scalabriniane, sono arrivate in Vietnam, per un viaggio esplorativo nel 2017, e poi dal 2018 per iniziare la nostra missione, abbiamo visto la realtà cambiare ad un ritmo vertiginoso proprio grazie alle forze giovani di tanti immigrati interni che, dalle diverse province, raggiungono la città industriale di Ho Chi Minh.

È anche grazie a loro che questo Paese si sta rivelando uno dei più promettenti dal punto di vista economico.

Ma a quale prezzo? E quali sono le motivazioni profonde dei giovani? Riescono a non lasciarsi trasportare dalla corrente impetuosa di uno sviluppo senza radici?

Van, ad esempio, è di Nghe An, provincia del centro del Vietnam, ha 23 anni, e si è appena laureata in psicologia a Ho chi Minh City:

«Per me è importante vivere il momento presente. Connettermi con la presenza di Dio in ogni attività della mia giornata, condividere momenti di gioia con le persone che incontro, con ogni bambino a cui insegno.

Per il mio futuro vorrei la felicità.

Non un lavoro per guadagnare tanti soldi ma scoprire la mia missione e vocazione: lavoro con i bambini autistici, spero e prego di ricevere sempre forza, saggezza e amore da Dio nel mio lavoro di insegnante».

Hong, 19 anni, buddista, è al primo anno di Filosofia; è della provincia di Ninh Thuan, nel Centro Vietnam.

Spiegando la motivazione della scelta del suo studio confida di sognare «di riuscire a catalizzare cambiamenti trasformativi nel mondo che mi circonda, utilizzando la saggezza appresa dalla filosofia e dalla socioeconomia.

L’arte del management potrà forse entrare a far parte di questa mia aspirazione: incontro giovani, appena arrivati come me, un po’ sperduti in questa città.

Non è facile capire quale è la persona giusta con cui socializzare in mezzo a una folla di volti sconosciuti».

(L’articolo prosegue sulla versione cartacea di Popoli e Missione di luglio-agosto)