«Che cosa dobbiamo fare, come Chiesa e come popolo, per impedire alle gang armate di ucciderci, di massacrarci tutti?».
L’accorato appello arriva dai vescovi di Haiti che in dieci hanno firmato un documento rivolto “al popolo di Dio, agli uomini e alle donne di buona volontà”, ammettendo tutta la loro impotenza.
«Da oltre tre anni nessun grido, nessuna forza morale li ha fermati: cosa dobbiamo ancora fare affinchè il nostro Paese ritrovi la pace e il popolo la speranza?», scrive la Conferenza episcopale locale.
Il 14 settembre scorso la Repubblica Domenicana ha chiuso le frontiere con Haiti, in seguito ad un conflitto interno nato dopo la costruzione di un canale di irrigazione considerato illegale dai domenicani.
I vescovi difronte al quotidiano scenario di morte e desolazione che accompagna da anni il Paese caraibico, invitano «i preti delle parrocchie, i religiosi e i fedeli laici ad organizzarsi per una catena di preghiere, in particolar modo una novena in occasione della festa di san Michele Arcangelo, per la liberazione del nostro caro Paese dalla violenza delle gang».
Il terrore vissuto ogni giorno a Carrefour-Feuilles e a Lilavois (per non citare che due dei quartieri sotto scacco delle bande), il massacro nella zona di Canaan, «sembrano confermare che è stata data carta bianca alle gang per agire contro la popolazione», scrivono i vescovi.
«Girano video di persone bruciate vive e questi sono video veri, non fake; tutto è rischioso a Port- au Prince e i bambini assistono a scene di orrore e di morte, a teste mozzate e pallottole volanti.
L’orrore purtroppo sta diventano normalità e la gente si abitua alla morte», ci racconta al telefono da Haiti la fidei donum Maddalena Boschetti.
«Io sono costretta a spostarmi in elicottero, tramite voli umanitari gratuiti messi a disposizione dalle Nazioni Unite, per raggiungere la capitale Port- Au Prince, dove abbiamo dei progetti in corso seguiti da giovani volontari; nessuno sa, al di fuori di noi di Haiti, la paura e l’orrore che siamo costretti a vivere.
Tuttavia noi missionari sappiamo bene che non c’è altro posto dove dobbiamo stare: questo è il posto giusto per noi».