La società civile tunisina e maghrebina non è inerte e non è passiva.
Ha una sua voce chiara e una precisa posizione politica relativa a ciò che accade nei confronti delle migrazioni interne ed esterne.
Dall’Africa verso l’Europa e all’interno del continente africano.
E soprattutto vuole essere consultata quando si decidono accordi bilaterali importanti su questioni che riguardano tutti, come il recente Memorandum Ue-Tunisia sulla gestione dei flussi migratori.
In una Dichiarazione congiunta, siglata lo scorso 21 luglio a Tunisi una serie di sigle della società civile, raccolte nel Forum Tunsien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES), spiegano perché è illecito stringere accordi con i despoti come se si fosse ancora sotto il regime di Ben Ali; ignorando il Parlamento e gli enti intermedi del sistema democratico, e perché in «Africa non ci può essere sviluppo senza mobilità umana».
«I muri si ergono su tutti gli orizzonti e testimoniano una guerra disastrosa contro la mobilità umana».
L’appello è chiamato “dichiarazione di Tunisi” ed è firmato anzitutto dal Forum Tunsien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES). (clicca qui)
«In Africa non c’è sviluppo senza mobilità!», scrivono le associaizoni.
E «in Europa non c’è pace senza lo sviluppo dell’Africa».
«Noi denunciamo l’incontro governativo che si terrà a Roma il 23 luglio e portiamo l’attenzione dell’opinione pubblica africana ed europea su alcuni elementi», si legge nella dichiarazione.
Anzitutto sul fatto che l’accordo di memorandum Ue-Tunisia «risponde ai bisogni e alle attese dell’Unione Europea, senza considerazione alcuna per le sfide poste ai paesi della riva Sud del Mediterraneo».
«Le esigenze dell’Ue passano per la criminalizzazione delle operazioni umanitarie in mare e per la vassalisation (ossia il vassallaggio ndr.) dei Paesi africani come il Niger e oramai anche la Tunisia».
La principale critica mossa dalla società civile nordafricana alle istituzioni europee riguarda la modalità di interlocuzione con i leader dispotici, ignorando il resto del Paese.
Ossia stringere accordi ignorando il Parlamento e il dibattito pubblico, come se la Tunisia fosse ancora la dittatura retta da Ben Ali.
«Ancora una volta – scrivono – come sotto il regime di Ben Ali nel 1995, questi accordi firmati senza alcuna concertazione maghrebina e africana, senza un reale dibattito democratico e in assenza di un Parlamento rappresentativo, stigmatizzano tutte le voci libere della società che esprimono critiche, rifiutano e manifestano indignazione».
E ancora si legge:
«l’Europa delle capitali ha fatto della migrazione una questione risolvibile con la monetizzazione dell’asilo politico, la violazione del diritto internazionale e l’esternalizzazione delle frontiere a fronte di miliardi di euro.
Lasciando credere ai governati che il loro destino non sia legato a quello degli altri popoli della regione e che i muri della fortezza resisteranno ai colpi di mannaia di coloro che hanno perso la speranza».
Pertanto le ong e i movimenti politici della società civile organizzata affermano che la «mobilità è un fattore indispensabile per lo sviluppo dell’Africa».
Le ong fanno appello anzitutto alle forze sociali interne: ai sindacati e ai governi e poi alla «comunità internazionale affinchè guidi un sistema di salvataggio e identificazione delle vittime e affinchè metta fine agli interventi punitivi omicidi da parte delle forze di sicurezza».
(la foto di apertura è di Carlo Paluzzi, copyright Missio)