Il commento di padre Daniele Moschetti, comboniano

Tunisia: Ong e attivisti tunisini mobilitati per i migranti a Sfax

Molto tesa la situazione nella città portuale dove centinaia di subsahariani vivono in strada, in attesa di partire o di essere 'respinti'

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Le Ong e gli attivisti dei diritti umani in Tunisia non stanno con le mani in mano.

A fronte dell’emergenza Sfax, dove migliaia di migranti dall’Africa Subsahariana stanno vivendo il dramma dei respingimenti voluti dall’Ue, le Ong tunisine organizzano un primo soccorso per i più fragili.

Mettendo in moto nel contempo una opposizione politica «alla disumanità» dei rimpatri.

Almeno trenta sigle del terzo settore e associazionismo tunisino (tra cui il Forum tunisino per i diritti socio-economici) chiedono «un intervento d’urgenza per mettere fine a queste operazioni di refoulement arbitraire (ossia di respingimenti arbitrari) e illegali».

Ed  assicurare «una presa in carico adeguata e degna di queste persone, consentendo alle organizzazioni umanitarie di intervenire».

(clicca qui)

Una piattaforma on-line tunisina ha lanciato una raccolta fondi per interventi d’emergenza. 

Sfax sta diventando una zona “calda” per due motivi: la tensione tra gli abitanti tunisini e i subsahariani, con una serie di violenze e attriti scoppiati tra locali e stranieri;

e la condizione di grave bisogno ed emergenza in cui i migranti vivono, con temperature ben oltre i 40 gradi.

Donne incinte, bambini piccoli, anziani, da giorni attendono in strada.

Gli abitanti di Sfax non accettano la presenza dei migranti che destabilizzano il già precario equilibrio interno.

«Mentre l’Unione europea negozia con la Tunisia un “partenariato rafforzato” con promesse di aiuto finanziario in cambio della cooperazione in materia migratoria, la città di Sfax è teatro di molteplici affrontements (conflitti) tra locali e migranti», si legge sull’appello lanciato dal Forum tunisino. Tensioni che hanno già fatto diverse vittime.

Ma chi sono gli africani in attesa di partire da Sfax?

Nella città portuale sulla costa orientale del Paese, oramai da tre mesi sono accampati in strada centinaia di migranti dal Sudan, dalla Guinea equatoriale e da altri Paesi in difficoltà.

Swany, 18 anni, dal Sudan racconta al quotidiano RFI: «viviamo così al momento, non abbiamo altre opzioni, dobbiamo adattarci».

Con lui Mohamed, sudanese, già passato dal dramma libico: «aspettiamo che il governo tunisino ci offra un aiuto».

Un missionario comboniano che ha vissuto per anni in Sud Sudan, padre Daniele Moschetti, oggi a Castel Volturno, parla di «scelte scellerate da parte dell’Unione europea che sostiene governi dittatoriali, facendo accordi come quello con la Libia.

La strategia di questi governi è quella di portare la gente ai bordi del deserto e lasciarla lì, ai limiti dell’umano». 

In questo modo, dice Moschetti, «calpestiamo i diritti umani ma non risolviamo nulla: i migranti troveranno altri modi per arrivare in Europa, a spingerli è il bisogno».

Moschetti spiega di far parte assieme ai comboniani e a diverse sigle del terzo settore italiano di una coalizione che si sta adoperando per proporre delle modifiche al decreto flussi, appena varato.

«Abbiamo parlato con il neo Commissario all’emergenza migranti, il prefetto Valerio Valenti», le aspettative però restano molto basse.

Il nuovo decreto flussi annunciato a seguito del Consiglio dei Ministri del 6 luglio 2023 amplia il numero di ingressi regolari previsti, che ammontano a 452.000 su tre anni.

Il dramma di chi vorrebbe entrare via mare resta, e anzi, aumenta.