Iraq, rientrati a Ninive centinaia di cristiani. Ma il patriarca teme ritorsioni

Le comunità cristiane potrebbero diventare un 'capro espiatorio'. L'Iraq è tutt'altro che un Paese pacificato

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Sono circa duecento le famiglie di sfollati cristiani rientrati (dopo anni di occupazione jihadista e di guerra della coalizione) nei quartieri di Mosul e nelle città e villaggi della Piana di Ninive.

Le famiglie cristiane erano fuggite dalla proprie case tra il giugno e l’agosto del 2014, quando Mosul e buona parte della provincia di Ninive erano cadute sotto il controllo delle milizie jihadiste dell’autoproclamato Stato Islamico (Daesh). 

Adesso però il timore delle autorità cristiane è che queste comunità possano in qualche modo esser prese di mira. E’ necessario ricreare prima un clima di fiducia e condivisione, andato completamente in fumo negli anni bui dell’Isis in Iraq. E nei successivi anni di guerra e assedio delle città rimaste in mano a Daesh.

Il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, in un’ampia intervista rilasciata a Rudaw TV, ha ribadito ieri che la soluzione dei problemi affrontati dai cristiani in Iraq non passa attraverso la creazione di una “enclave cristiana” con base nella Piana di Ninive.

L’Iraq di oggi, sebbene ‘depurato’ della presenza dell’Isis a Mosul e nelle zone occupate, non è affatto un Paese pacificato. Il potere è suddiviso tra le milizie in base a logiche etniche e religiose. Il rischio di attrito è molto forte per tutti gli abitanti, non solo per i cristiani. Come sa bene Papa Francesco, che infatti si recherà in viaggio in Iraq a marzo prossimo, per promuovere percorsi di pace condivisi. E per una integrazione che non faccia differenze tra cristiani, musulmani ed altre fedi e culture.

Le comunità cristiane, poiché minoranza (e poichè rimaste al di fuori della feroce guerra di ‘riconquista’ del Paese), potrebbero diventare più di altri “un capro espiatorio” nelle lotte tra le diverse fazioni settarie che oggi si contendono l’Iraq.

Come racconta don Mokhles Shishah in questo video, (clicca qui), l’Iraq rimane frammentato, con forti opposizioni “tra sciti, sunniti, curdi e arabi, musulmani e cristiani”. E gravi problemi legati alla mancanza di un sistema sanitario. La ricostruzione sarà un processo lento e doloroso.

Non è stato solo Daesh a bruciare le case- ha detto Sako in una intervista – Ci sono state anche altre mani che hanno acceso il fuoco, e nell’area ci sono milizie di diversa matrice che impongono pedaggi, incutono timore e minacciano le proprietà delle persone, in un modo o nell’altro”.

Gli sfollati di Mosul e della Piana di Ninive avevano trovato rifugio in gran parte nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno e in particolare nei sobborghi di Erbil, il suo capoluogo.

Nel settembre 2017, poche settimane dopo la definitiva liberazione di Mosul dal regime jihadista imposto dallo Stato islamico, le autorità locali avevano già annunciato il ritorno di 1400 famiglie di rifugiati cristiani nelle proprie aree di provenienza, concentrate nella Piana di Ninive.

Adesso il rientro di decine di nuclei familiari cristiani rappresenta un segnale confortante, anche se in termini percentuali i dati numerici relativi al contro-esodo di rifugiati cristiani nelle aree nord-irachene del loro radicamento storico rimangono esigui.

Buona parte dei nuclei familiari costretti a fuggire negli anni del dominio jihadista non sembrano propensi a far ritorno alle proprie abitazioni abbandonate, dopo che hanno trovato una nuova sistemazione a Erbil o nella regione di Dohuk, o dopo essere riusciti in qualche modo a emigrare all’estero.Video di don Mokhles Shishah