«Rinnoviamo l’invito alle comunità ecclesiali e, in particolare, ai monasteri presenti sul
territorio nazionale, ad accompagnare con la preghiera la visita a Mosca che il cardinale
Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, compirà quale inviato di Papa
Francesco nei giorni 28 e 29 giugno».
Le parole di monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario
generale della CEI, accompagnano il viaggio diplomatico del cardinale Zuppi in Russia.
«Auspichiamo che questa nuova iniziativa possa contribuire al raggiungimento di una giusta
pace», dice il segretario generale.
La guerra in Ucraina va fermata ad ogni costo, è giunto il momento di dire stop alle armi: «a tutti interessa la strada della pace e io sono disposto a fare tutto quello che si deve fare», aveva detto papa Francesco ai giornalisti durante il viaggio di ritorno dall’Ungheria, il primo maggio scorso.
La conta dei morti e dei feriti in Ucraina è ancora più devastante quando riguarda i bambini: dal 24 febbraio 2022 ai primi di maggio del 2023 sono morti in Ucraina 478 bambini.
Oltre mille sarebbero invece i feriti, alcuni dei quali gravemente.
I numeri sono stati forniti dal procuratore generale ucraino. Sono invece 19mila e 514 i bambini ucraini deportati illegalmente in Russia secondo il ministero della Reintegrazione ucraino.
E se parlare troppo di processo di pace tra russi e ucraini genera ancora, purtroppo, un senso di disagio – perché erroneamente si interpreta la richiesta di pace come uno schierarsi dalla parte russa – la missione “quasi impossibile” di questi giorni del cardinale Matteo Zuppi apre un varco di speranza vera.
Forse mai come ora la ricerca della pace da parte del Vaticano è stata più concreta.
«Siamo in un momento in cui la pace non ha nulla di retorico – ha detto Zuppi -. Abbiamo urgenza di una via di pace».
La necessità di arrivare ad un compromesso tra militari del Cremlino ed esercito agli ordini del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, genera nella Chiesa italiana «un’ansia di successo».
Zelensky ha proposto di tenere a luglio prossimo un vertice internazionale che ha chiamato “summit della formula della pace”: «il vertice di tutti coloro che sostengono l’onestà e sono determinati a porre fine a questa guerra – ha dichiarato – Vi invito a unirvi agli sforzi comuni».
Lo scorso 14 maggio il leader di Kiev ha incontrato Sergio Mattarella al Quirinale, il premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi e infine il papa.
Un vertice di 40 minuti in Vaticano, quest’ultimo, durante il quale Zelensky ha sostanzialmente rifiutato le proposte del pontefice.
«Rispetto il papa, ma il piano di pace deve essere ucraino», ha raccontato ai giornalisti delle agenzie, uscendo dall’udienza.
La sostanza è che sia la Russia che l’Ucraina questa guerra vogliono vincerla: ossia Putin vuole procedere con l’occupazione di tutto il Donbass, e Zelensky non demorde dall’intenzione di liberare con le armi tutto l’est, compresa la Crimea. Posizioni inconciliabili.
La mediazione della Cina è l’unica finora davvero apprezzata da Mosca: ma Pechino chiede che i Paesi occidentali riconoscano alla Russia il controllo delle quattro regioni del Donbass occupate lo scorso anno: Lugansk, Donestsk, Cherson e Zaporizhzhia.
Questa, dunque, la situazione sul campo, territori occupati alla mano.
La mediazione della Chiesa italiana per la pace va molto oltre la richiesta di mettere o togliere delle bandierine dai territori occupati dell’Ucraina: è una richiesta di educazione alla mondialità, di ricomposizione del conflitto, di ragionevolezza umanitaria.
«Parlare di pace – dice Zuppi – non significa evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità» della Russia.
Significa aprirsi alla possibilità di incoraggiare i contendenti a fare un passo indietro.
Viviamo «in un tempo emozionale e soggettivo che rivela e accentua processi di deculturazione- afferma il cardinale -: tutto diventa fluido, anche quello che ieri sarebbe stato impensabile.
Cadono saldi riferimenti, mentre ci si esalta (e poi ci si deprime) nella drammatica vertigine della soggettività dell’io».
Come questo pensiero elevato, che mira al superamento del conflitto come forma di risoluzione delle controversie, possa tradursi in un piano reale di pace, da formulare assieme ai due Paesi in guerra, per ora non è dato saperlo. Ma sappiamo che è necessario. E che non è più possibile aspettare oltre.
(Foto credits Afp/ proprietà Missio)