I primi discorsi pubblici di Emmerson Mnangagwa, Presidente ad interim dello Zimbabwe (dal novembre scorso), sono tutti nel segno dell’autopromozione e dell’autodifesa.
L’ex braccio destro del deposto Mugabe vuole apparire liberale, aperto alle opposizioni e alla stampa, conciliante, nonostante i feroci attacchi.
«Per come mi avete massacrato sui giornali – ha scritto il News Day riportando un discorso di Mnangagwa ai giornalisti – è inconcepibile che io sieda qui con voi ora. Ma non vivo nel passato: dunque lasciamo che i tempi andati siano andati davvero e lavoriamo assieme per una nazione migliore!».
Mnangagwa in realtà fa la sua campagna elettorale: la stampa non lo ama sia per la modalità con la quale è salito al potere che per la sua agenda. Ma lui tende la mano ai nemici.
«Non avrò mai una agenda politica vendicativa», assicura. La data delle elezioni non è ancora stata decisa: si pensava al luglio o agosto prossimo, ma non c’è certezza.
La Chiesa cattolica in Zimbabwe e i missionari nello specifico, non sembrano per nulla contenti di questa transizione che appare piuttosto come un protrarsi dello status quo.
«Come in passato, il partito al potere, lo Zanu-Pf, è controllato dai servizi segreti e dalle forze armate – ha detto un missionario all’agenzia Fides – Che poi sono le forze che hanno sostenuto Mnangagwa nella sua lotta intestina per evitare che salisse al potere Grace, la moglie di Mugabe. Nulla quindi è cambiato».
Di recente i giornali hanno riferito le parole del portavoce di Mugabe: l’allora presidente rischiava di far la fine di Gheddafi in Libia.
«L’esercito ci mise in guardia: c’era il rischio di linciaggio per Mugabe e di uno “scenario modello libico” per Mugabe», ha raccontato l’ex portavoce. E’ stato forse allora che la first lady ha iniziato a darsi da fare per emergere.
La storia dell’inaspettata ascesa dell’ex pupillo di Mugabe sembrerebbe in effetti una lotta di potere tra lui e l’ambiziosa Grace Mugabe, moglie del 93enne ex presidente.
Lei era si proclamava candidata al “trono” del marito e in un’intervista avrebbe svelato: «dicono che voglio diventare presidente. Perché no? Non sono forse una cittadina dello Zimbabwe?”.
Tanto che avrebbe tramato per defenestrare diversi rivali, tra cui lo stesso Mnangagwa, licenziato con un comunicato ufficiale il 6 novembre scorso, accusato di “atteggiamenti sleali”.
Riparato momentaneamente all’estero Emmerson è ritornato in patria dopo un colpo di Stato smart da parte dell’esercito.
E da allora occupa una poltrona che si è preso con la forza.
Nel corso di un incontro pubblico, pochi giorni fa, Mnangagwa ha detto che «come leader di una nazione non devi portare il Paese dove vuole andare ma dove ha bisogno di andare.
Se vuoi rimanere al potere farai ciò che la gente vuole, anche se non è la cosa migliore per il Paese. Ma se vuoi lasciare un’eredità, allora dovrai prendere decisioni difficili che cambieranno le vite delle persone».
Mnangagwa parla pubblicamente di unità, amore e perdono. Enfatizza l’importanza del dialogo e della cittadinanza attiva.
Dice che il suo governo è stato sempre pronto a lavorare con i partiti d’opposizione, con i media indipendenti e con la diaspora, con gli investitori esteri.
«Sono stato leader della Camera (l’Assemblea nazionale) per un lungo periodo e ho incoraggiato l’opposizione ad esprimersi in modo che imparassimo dai nostri errori. Sarebbe un triste giorno per la democrazia se ognuno cantasse la propria canzone».
Ma in questo Zimbabwe in fibrillazione, in attesa del voto, resta aperta anche un’altra incognita: quella cinese.
Superpotenza economica e maggior investitore dello Zimbabwe, la Cina pur non intervenendo direttamente nelle scelte politiche del Paese, le orienta a suo modo.
Pechino – scrive l’Asian Nikkei Review – monitorerà attentamente tutta la campagna elettorale che porterà al voto di luglio e soprattutto terrà d’occhio i candidati, cercando come sempre il partner più affidabile dal punto di vista economico.
«In anni recenti – scrive Asia Nikkei – quando le potenze occidentali hanno iniziato a prendere le distanze dal governo sempre più autoritario di Mugabe, la Cina ha rappresentato linfa vitale per la traballante economia dello Zimbabwe, finanziando l’esercito e pompando capitali nel settore delle costruzioni, delle miniere, dell’energia e anche in quello agricolo».
Il volume commerciale tra i due Paesi ha superato il miliardo di dollari e nel 2015 il presidente cinese Xi Jinping ha promesso alla controparte altri 4 miliardi di dollari in aiuti e investimenti.
«I laeder hanno ottenuto un notevole sostegno militare da parte dei cinesi – dice Charles Laurie, analista di Verisk Maplecroft – tra cui attrezzature militari, armi d intelligence per sostenere il regime di Mugabe».
La gente lo sa e sa che sostenere l’opposizione, in Zimbabwe, significa anche rischiare di mettersi contro Pechino.
Resta da vedere quali alternative si presenteranno al popolo.
Dato il rapporto simbiotico esistente tra i militari dello Zimbabwe e il partito al potere, il Zanu— Pf è inevitabile che i comandanti dell’esercito siano coinvolti nella lotta alla successione.
I militari hanno sempre avuto un ruolo – scrive The Conversation – nel neutralizzare le opposizioni e non hanno esitato in passato ad usare la forza sui ribelli e i manifestanti in protesta.