La situazione in Libano è grave se si pensa che «perfino l’orario, forse la cosa più neutra che ci sia, può diventare un fattore di divisione», commenta Anthony Samrani, giornalista libanese, nel suo editoriale su L’Orient-Le Jour.
Si riferisce a quanto accaduto all’inizio del Ramadan, nel marzo scorso.
Questi i fatti: il governo decide di non introdurre l’ora legale, ritardandone l’applicazione di circa un mese.
Ciò avrebbe favorito i musulmani, per i quali – con l’ora solare – il tempo di digiuno sarebbe stato più corto di 60 minuti.
Ma la Chiesa maronita si rifiuta di non allineare l’ora libanese con quella del resto del mondo ed annuncia di ignorare la decisione del governo.
Risultato: in un fazzoletto di terra grande poco più delle Marche, ecco due fusi orari diversi, espressione di una frattura inconciliabile tra universi paralleli. In altre parole, «la polemica – scrive Samrani – si è trasformata in un conflitto d’identità.
L’ora è diventata cristiana o musulmana. Ed è riapparso il peggio del Libano, quello che a volte fingiamo di nascondere sotto una patina di “convivenza”».
Per fortuna, dopo una settimana di confusione, il governo fa marcia indietro e il 30 marzo decide di introdurre l’ora legale in tutto il Paese.
Solo uno sgradito incidente amministrativo?
Samrani e tanti analisti non ne sono affatto convinti: le comunità religiose cristiana e musulmana sono solo due delle tante realtà parallele che compongono il “multiverso Libano” in un contesto di crisi politica, sociale ed economica così profonda, mai vista dai tempi della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri.
«Se non costruiamo il più velocemente possibile un progetto comune – conclude Samrani – questi universi paralleli, invece di coesistere, finiranno per scontrarsi l’uno con l’altro.
E il Libano a disgregarsi o scomparire».