Un voto che conferma l’attaccamento del popolo boliviano al Partito socialista, il Mas, ma senza Evo Morales e le oligarchie corrotte. Questa in estrema sintesi una delle ragioni della schiacciante vittoria di Luis Arce, candidato del Mas, alle ultime elezioni in Bolivia, secondo il vescovo di Pando, Eugenio Coter.
Due sono le ragioni che hanno spinto l’elettorato verso questo orientamento, argomenta con noi al telefono il vicario apostolico: «anzitutto la non credibilità dell’alternativa rappresentata dall’Alleanza Comunidad Ciudadana, o Citizen Community di Carlos Mesa, e poi il fatto che l’area rurale, con i suoi piccoli e medi agricoltori, è da sempre una roccaforte del Partito socialista: le classi medio basse si sono identificate nel progetto del Mas, ripulito della classe dirigente di Morales».
La vittoria schiacciante di Luis Arce candidato del Movimento Al Socialismo, con oltre il 52% dei voti, ha sorpreso molti osservatori, compresa la stessa Conferenza Episcopale Boliviana.
Ma è chiaro che «una volta allontanato Evo Morales dal movimento, la gente ha continuato a credere nel partito senza “la cupola” della nomenclatura che reggeva il Paese al di fuori di ogni etica».
Si tratta anche di un «voto di protesta, di fronte alla non credibilità di Jeanine Áñez Chávez, Presidente ad interim dopo la “cacciata” di Morales. Janine secondo il vescovo non aveva favorito in nessun modo il popolo, anzi «è stata dalla parte dell’agro-business industriale. I piccoli contadini non si sono più sentiti rappresentati».
La Bolivia rimane un Paese contadino con enormi potenzialità e grandi ricchezze naturali, tutte da sviluppare, però. La Chiesa si interessa a fondo delle questioni socio-economiche che riguardano il popolo, rischiando in prima persona, e non stupisce che un pastore abbia a cuore anche l’aspetto politico per la difesa degli interessi degli ultimi: «il comandamento di amare Dio – spiega Coter – ci chiede anche di servire il prossimo». E lo si serve anche tramite il dialogo con la classe dirigente.
«Adesso in Bolivia si aprono nuovi scenari: c’è tutta una partita da giocare, adesso conosciamo qualcosa delle squadre che entreranno in campo», dice.
A proposito del futuro del Paese e della direzione da favorire, il vescovo afferma: «Io credo che dovremmo andare verso una socialdemocrazia, dove lo Stato è un regolatore e facilitatore nel generare processi economici, ma non un gestore assoluto. Serve uno Stato che non sia padrone delle imprese e una riforma per l’indipendenza dei poteri contro la corruzione».
Certo, il presidente uscito dalle urne, Arce, «come ideologia è della linea più dura – spiega Coter – quella comunista, lo dice lui stesso, apertamente, e in questo senso la linea delle imprese di Stato è una probabilità».
Però c’è un margine di dialogo con l’attuale Parlamento, spiega il vescovo: «in questi mesi è cresciuta molto la forza dell’opposizione, per cui il governo è più controllato. E questo può essere uno spazio di dialogo anche per la Chiesa. C’è spazio per pensieri diversi in cui la Chiesa può continuare a far sentire la sua voce critica».
Inoltre, la crisi economica che si intravede pone «in un atteggiamento di maggior necessità di dialogo e rafforzamento sociale: genera una obbligata umiltà».
Continua a non esserci eguaglianza sociale nel Paese: «la classe politica anche durante il predominio del Mes era diventata una nomenclatura con la k. La prima vittime di questo sistema è stata la stampa, nel 2005/2006. Con la Chiesa ci hanno provato mille volte ma abbiamo resistito».
Una delle sfide per il futuro «è l’agricoltura diversificata, popolare e sussidiata tramite tagli alle imposte e apertura dei mercati. Sostenere la piccola e media agricoltura. E poi bisogna generare tutta la matrice produttiva». La strada della ripresa è lunga in Bolivia, ma la speranza è enorme e il cambiamento incoraggiante.