L’Oms, la pandemia e la crisi del multilateralismo

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La pandemia del Covid-19, tutt’altro che sotto controllo, ha suscitato non pochi interrogativi sull’efficacia dell’azione delle diverse agenzie dell’Onu, con particolare riferimento all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Se ogni crisi può rappresentare un’opportunità, in questo caso si tratta di utilizzare i lavori dell’Assemblea generale dell’Onu per definirne un bilancio senza sconti, ma ancora di più una revisione di comportamenti necessari a fronteggiare le diverse crisi, non solo sanitarie, nella dimensione di una mondialità tuttora incapace di darsi regole comuni e strumenti per farle rispettare.

Non è un lavoro facile, soprattutto perché prevalenti interessi degli Stati più forti e dei potentati economici e finanziari concorrono al determinarsi di ogni crisi.

Alcune condizioni sono indispensabili, ormai in gran parte ignorate, affinché sia garantito un efficace funzionamento delle grandi organizzazioni internazionali. La prima condizione è il riconoscimento della loro legittimità e più in generale del sistema internazionale al cui servizio esse sono poste.

A questo scopo è indispensabile che gli Stati – a partire dai più potenti – accettino di operare attraverso tali organizzazioni, accettino cioè un contenimento del loro peso relativo in un contesto globale (che almeno in teoria dovrebbe non tener conto delle gerarchie di potenza che caratterizzano i rapporti internazionali).

Altrettanto rilevante è la trasparenza dell’operato e della governance di tali istituzioni, indispensabile perché nell’opinione pubblica internazionale ci sia la convinzione che operino effettivamente per il bene collettivo.

Non è un caso se proprio la mancanza di questi due aspetti abbia finora compromesso un reale sforzo globale e coordinato contro la pandemia, di fronte alla quale il mondo si è mosso in ordine sparso.

Covid in Brasile e negli Usa

È significativo che i Paesi più colpiti siano gli Stati Uniti e il Brasile, guidati da due presidenti, Donald Trump e Jair Bolsonaro, notoriamente determinati a contrapporre il presunto interesse nazionale a ogni principio di multilateralismo. Per il primo la pandemia, che ha sempre continuato a sottovalutare o a definire un attacco della Cina, è stata occasione di annunciare la fine dei finanziamenti all’Oms, accusata di posizioni filocinesi.

Il che ha meravigliato solo quanti hanno dimenticato analoghe iniziative su molti altri aspetti internazionali, con il ritiro dai principali trattati a partire da quelli sull’ambiente.

Di errori dell’Oms e di esagerazione delle misure di contenimento della pandemia ha parlato a sua volta Bolsonaro, quando i morti in Brasile erano già più di 50mila.

E anche in questo caso, non meraviglia più di tanto la posizione di un presidente che ha definito una questione solo brasiliana il gigantesco incendio che sta distruggendo l’Amazzonia, il principale polmone verde del globo.

Resta comunque aperta la questione della trasparenza dell’azione dell’Onu. Ne è un esempio proprio l’Oms, che da almeno 30 anni dipende di fatto da finanziamenti volontari, nonostante che in teoria i 194 Stati membri paghino regolarmente i propri contributi, che complessivamente finanziano solo il 20% della spesa. Il maggiore di tali contribuenti volontari è la Fondazione di Bill Gates e di sua moglie Melinda. Il punto critico del sistema, teorie complottiste a parte, sta proprio nel fatto che questo rende preponderante l’influenza dei vari soggetti finanziatori – Stati o privati – in base alla loro rilevanza politica o economica.

A rendere la questione palese, basta la considerazione che nell’ultimo quinquennio (prima cioè della pandemia) circa l’80% dei fondi dell’Oms è stato destinato a coprire specifici progetti indicati dagli stessi donatori, tra l’altro con evidenti ricadute sul sostegno alla ricerca medica, sempre più sottratta al controllo pubblico dallo strapotere della sanità privata.

Non stupisce più di tanto che l’Oms sia diventata, con lo scoppio della pandemia, un terreno di scontro tra Stati Uniti e Cina, anzi – a giudizio di molti – un pretesto significativo all’interno di una contrapposizione tra le due potenze che ha motivazioni e obiettivi ben più vasti.

(Questo articolo in versione integrale è stato pubblicato sul numero di settembre-ottobre di Popoli e  Missione a firma di Pierluigi Natalia).