Verso la Giornata Missionaria Mondiale 2/ In Colombia, tra guerriglia e Covid

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Quella che si sta vivendo oggi in Colombia è un’estate di violenza come non si vedeva da 15 anni a questa parte, proprio nel momento in cui il Covid-19 è letteralmente esploso tra la popolazione. Con circa 10mila nuovi casi e centinaia di morti al giorno, il Paese si colloca tra i primi tre per contagio; ma al Covid si sommano i massacri quotidiani, compiuti dai tanti gruppi armati ancora presenti sul territorio. Di questo parla padre José Darío Rodríguez Cuadros, gesuita, collaboratore dell’Università Javeriana e del movimento “Fé y Alegria”, intervistato di recente dall’Agenzia Sir. I gruppi armati stanno “approfittando” della pandemia per regolare i conti?

«Effettivamente – risponde il gesuita – nelle ultime settimane c’è stata un’esplosione di violenza che ha interessato numerosi dipartimenti: Valle del Cauca, Cauca e Nariño a sudovest, Antioquia a nord, provincia del Catatumbo (Norte de Santander) e Arauca a est. Il primo elemento d’analisi è che questi episodi di violenza non sono parte di una strategia nazionale, ma rispondono a dinamiche locali».

Padre Josè Dario racconta che «si combatte per interessi circoscritti e specifici che girano soprattutto attorno al traffico di cocaina, ma non solo. Ci sono anche il controllo dell’attività estrattiva illegale, delle estorsioni, e altre attività criminali. Un altro elemento è che in tutti questi luoghi teatro di scontri e massacri un tempo le Farc erano presenti in modo massiccio. Coloro che non hanno lasciato la guerriglia si sono inseriti in altri gruppi, c’era un vuoto che è stato subito colmato, creando però nuovi conflitti».

In tutto questo si inserisce la pandemia che ha aggravato un quadro davvero ai limiti del sopportabile. «La quarantena è stata usata dai gruppi per rafforzarsi – prosegue padre Rodríguez -. Ma, al tempo stesso, in questa situazione di contrazione dell’economia, anche le attività illecite ne risentono. Perciò, è una mia supposizione, aumentano nervosismo e aggressività ed è più facile che si rompano i patti tra le formazioni illegali». In questa situazione, risalta il fatto più doloroso:

«La maggioranza delle vittime è civile, popolazione innocente: leader sociali e campesinos, studenti universitari». In ogni caso «non sono del tutto pessimista sul fatto che il processo di pace vada avanti, non tanto per volontà dell’attuale Governo, ma per la pressione della Comunità internazionale».

(I.D.B.)