Il regime degli Ayatollah ha paura del cinema? O teme forse la reazione della comunità internazionale di fronte all’arresto di esponenti del mondo dell’arte?
Sta di fatto che il 4 gennaio scorso le autorità iraniane hanno rilasciato l’attrice Asghar Farhadi, star del film Premio Oscar “The Salesman” quasi tre settimane dopo essere stata imprigionata per avere pubblicamente criticato la repressione delle proteste antigovernative.
Un mese dopo è stata la volta del regista Jafar Panahi rilasciato dalla prigione di Evin a Teheran dopo avere annunciato che avrebbe iniziato uno sciopero della fame per protestare del fatto di essere ancora imprigionato dopo che la Corte suprema iraniana aveva ribaltato lo scorso ottobre una condanna a sei anni del 2010 per «propaganda contro il sistema».
Considerato un maestro del cinema iraniano, Panahi, 62 anni, è uscito su cauzione e il suo caso sarà presto ripreso in esame;
l’autore del recente “No bears”, resta comunque insieme all’amico regista Mohammad Rasoulov (ancora in carcere) uno degli intellettuali più importanti del suo Paese.
Una voce autorevole contro le violenze compiute dalla morte di Masha Amini ad oggi.