Al campo profughi di Maratane, una ventina di chilometri a nord di Nampula, in Mozambico, la conoscono tutti: lei è l’italiana che parla portoghese e francese; l’amica delle donne.
Sa di cosa ha bisogno una mamma, ricorda i nomi dei mariti, dei figli. Conosce disagi, situazioni difficili di famiglie spezzate. Con discrezione e gioia vera arriva dove nessun altro riesce ad arrivare. Nei bairros più defilati, fin dentro le capanne più povere ma dignitose del campo. Di Carmelina Telesca, colpisce l’armonia, il senso dell’ironia.
Ma soprattutto l’attenzione partecipata alle vite degli altri. Perché questa comboniana, originaria di Potenza, per 20 anni in Congo e in Mozambico, è più che una suora.
E’ anzitutto una donna che ha deciso di ‘stare’. Si inoltra nel mercatino della frutta e verdura del campo salutando per nome le venditrici di papaja e banane.
Sa dove bussare per informarsi sullo stato di salute di Ester, Grace, Marielle. Che nessuno cura. Quando Angelina, cinque anni, la vede arrivare da lontano le corre incontro e le butta le braccia al collo. Come fosse persona di casa.
Perchè Carmelina sa stare accanto alla gente. Senza voler a tutti i costi strafare.
La mattina esce di casa, saluta le consorelle di Nampula (sei comboniane ognuna con una propria missione speciale) e si fa accompagnare a Maratane.
«Durante la stagione delle piogge questa terra rossa è tutta un pantano e l’acqua crea voragini», ci spiega lungo il tragitto. Ma lei non ha fretta.
La sua missione è in accordo con i ritmi africani. Carmelina si sofferma. Non corre. Ascolta.
«Questo è l’unico campo in Mozambico che accoglie rifugiati provenienti dal Congo, dal Burundi, dal Ruanda – spiega – Molti riescono anche a trovare lavoro fuori di qui. Il bello è che Maratane non somiglia affatto all’idea che abbiamo noi dei campi come centri di reclusione.
I rifugiati, muniti dei documenti necessari, rilasciati dalle autorità competenti, possono uscire quando vogliono e cercare lavoro in città».
Il popolo mozambicano è accogliente, spiega, e c’è una buona integrazione tra chi vive nel campo e chi fuori. Anzi, in Mozambico si fa fatica a distinguere il campo dal non campo. Il dentro dal fuori. «Sia i mozambicani che i rifugiati hanno accesso alle stesse scuole, sono curati nello stesso dispensario, coltivano i campi fertili gli uni vicino agli altri – dice – I figli si conoscono, giocano e studiano insieme».
Maratane è un campo permanente gestito dall’Unhcr: ormai da quindici anni i rifugiati vivono qui senza chance di ritornare a casa. Le agenzie delle Nazioni Unite, però, hanno altre ‘emergenze’.
Un paese come il Mozambico, libero dalla guerra, tutto sommato stabile, è considerato in grado di provvedere a se stesso.
E pure agli altri. «Naturalmente non è così- dice Carmelina – I bisogni sono moltissimi e questo rimane un Paese povero. Ma nelle statistiche ufficiali non risulta in stato di emergenza».
Ed è perciò trascurato. Perfino quando accoglie rifugiati dei Paesi limitrofi. Il lavoro di Carmelina, degli scalabriniani, con il loro centro nutrizionale per bambini malnutriti; il lavoro dei volontari e delle ong è prezioso perché fa fronte a bisogni che la comunità internazionale non vede.
O non vuole vedere. Per avere un’idea: Maratane ospita oltre 9mila rifugiati provenienti dalla Regione dei Grandi Laghi e dal Corno d’Africa. Servizi sanitari, accesso all’acqua e sanità sono le note dolenti.