Siamo andati, padre Giorgio Giboli, io e Irmà Carmen, suora spagnola che vive a Namapa, nella missione di Chipene: toccata e fuga, più il tempo del viaggio che la visita, un debito di riconoscenza per padre Giorgio che è stato lì parroco per cinque anni.
Molta devastazione, ma la speranza continua laboriosa e non si lascia arrestare.
Speranza e tensione nei volti della gente, soprattutto quella che fa la coda all’ospedale, come ogni giorno dell’anno, anche se due edifici sono stati incendiati e la maternità è stata riaperta in condizioni precarie, grazie all’aiuto di una Ong.
Speranza che risuona nel rumore di martelli e carriole: nella casa dei padri stanno rimuovendo le macerie, in alcuni punti il tetto è rimasto e la “cappella feriale” rimasta intatta è diventata un piccolo magazzino per proteggere dai furti il materiale rimasto in buone condizioni.
I ragazzi che vivevano nella missione hanno ripreso la scuola e sono stati accolti provvisoriamente per fare gli ultimi due mesi.
Dopo gli esami, si vedrà. Il parroco, don Lorenzo, fidei donum di Pordenone, vive nella parrocchia confinante, visita le comunità e ascolta le tante storie di preoccupazione e di dolore.
Gli altri preti e suore sono rimpatriati, adesso per loro è tempo di guardarsi dentro e poi pensare a come ritornare.
Stavolta i missionari sono stati i primi a soffrire, ma la gente pensando al futuro non ha grande scelta: morire di fame arrancando nella dipendenza dai parenti in posti lontani, o tornare per seguire casa e campagna con la paura di altri attacchi.
Ho visto la speranza anche visitando la chiesa: la sede del celebrante è stata incendiata ma il crocifisso che stava sopra, pur annerito, è rimasto, le mura e i banchi ci sono.
L’ultima Messa celebrata a Chipene il 2 ottobre scorso, con la presenza di don Lorenzo, del vescovo Alberto Vera e le suore comboniane, è comunque avvenuta sotto agli alberi, non per l’inagibilità del tempio.
La gente che ha partecipato riempiva tutto il grande piazzale, musulmani e cristiani hanno proclamato “senza tante parole” che non vogliono odio, che le ferite che subiscono i cattolici fanno male a tutta la comunità e che desiderano una Chiesa presente e operante.
Questa dimostrazione di affetto non era scontata, la paura era tanta e le voci e i sospetti non cessano: giovani del villaggio erano andati via cinque anni fa e sono tornati quella notte, nemmeno erano tutti musulmani.
Questa violenza vuole mettere fratello contro fratello, figlio contro padre.
Questa diocesi, compreso il vescovo Alberto, vuole fare di tutto perchè questo non accada.
L’ultimo segno di speranza l’ho trovato nella camera di suor Maria de Coppi.
Le suore che hanno portato via le cose non incendiate hanno lasciato sul tavolo una lampada annerita e un quaderno vuoto: messaggi di amicizia, il titolo.
L’esperienza missionaria di suor Maria è stata un tenace e paziente lanciare messaggi discreti di amicizia e di vangelo, a ragazzine acerbe, ad animatori induriti dalla vita, a donne rassegnate, a tanti preti e suore, pure a giovani armati e spavaldi che nel tempo della guerra civile aveva incontrato.
Anche a chi non l’ha conosciuta consegna un messaggio di amicizia: spetta però a noi ricordarlo e non lasciarlo cadere.
(Don Filippo Macchi è missionario fidei donum in Mozambico)