Nel mese di maggio 2022 la commissione interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha sollecitato alla Corte Interamericana dei Diritti Umani (Corte IDH) un intervento di misure provvisorie per proteggere i diritti alla vita del popolo Yanomami a causa della “situazione di estrema gravità e urgenza di danni irreparabili ai loro diritti in Brasile”. La Commissione riconosce che le misure implementate dal Governo Federale “sono insufficienti”.
L’attività mineraria illegale realizzata nel bacino amazzonico è legata a processi globali e transnazionali.
Come ultima frontiera di colonizzazione interna, la regione Amazzonica brasiliana è articolata nel sistema economico mondiale dall’implementazione di progetti estrattivi agro minerari che insistono in una strategia geopolitica già attuata dai governi militari.
Tale strategia afferma la ‘difesa della sovranità territoriale’ della Nazione, ma ignora le popolazioni che abitano e proteggono territori che fanno gola come ‘riserve territoriali’ e foreste equatoriali ricche di risorse che devono essere sfruttati per lo sviluppo.
Le diverse attività economiche illecite che manifestano dinamiche espansioniste con l’invasione di terre indigene, terre di comunità ‘chilombole’ (comunità di ex schiavi afroamericani NDR) e tradizionali e unità di conservazione, attività mineraria inclusa, sono alimentate da e alimentano reti di crimine organizzato transnazionale implicate nel traffico di droga, armi e persone, così come in crimini di natura finanziaria, incluso il lavaggio di denaro.
Il boom dello sfruttamento minerario in America latina (iniziato negli anni ’90) è il risultato di un processo di dominazione e accumulazione coloniale che portarono a trasformazioni strutturali nell’ultima parte del secolo XX. Il processo di occupazione e invasione dei territori per lo sfruttamento minerale ha subito un’accelerazione con l’ondata di ‘ritorno allo sviluppo’ che caratterizza il sec. XXI in Brasile, seguito dall’emergenza de ‘neoestrattivismo’ e da una reinvenzione del garimpo. In Amazzonia, il ‘modello estrattivista agro minerario’ mostra tutta la brutalità di una situazione coloniale diretta all’esportazione verso altri continenti.
Oltre al prezzo dell’oro e a dinamiche economiche e finanziarie, altri fattori hanno contribuito a istigare, in Brasile, la nuova corsa all’oro che investe pure il territorio Yanomami – la più grande terra indigena nel Brasile, circa nove milioni di ettari, sui quali vivono approssimativamente 27mila persone, distribuite in 300 comunità, e si concretizza in attività illegali, crimini ambientali e umanitari.
Esistono grandi interessi di settori politici ed economici sulle terre indigene, con una strategia per presentare il garimpo in queste terre come un fatto compiuto e una retorica per incentivare lo sfruttamento minerario. In questa strategia, si notano la disattivazione delle Basi di protezione Etnoambientale (BAPE) del Fronte di Protezione Etnoambientale (FPE), il ridursi dei controlli da parte degli organi competenti per proteggere le terre indigene e perseguire azioni criminali, le manovre tendenti a legittimare attività illegali e non sostenibili con la giustificativa di regolamentare attività attualmente clandestine, criminali e che non producono cespite fiscale.
La vita quotidiana è segnata da minacce a paura costante. La foresta e le stagioni che passano nascondono molte tragedie. Le nozioni di tempo e di spazio sono relative e molte volte, nell’indagare un ‘supposto crimine’, non si ricevono le risposte sperate a domande mal poste. Soltanto l’ascolto paziente, insieme a condizioni di sicurezza e di fiducia, permettono l’emergere di informazioni.
Urgenza di intervento Davanti a questa drammatica situazione regionale, strettamente intrecciata però a vincoli economici e geopolitici globali, sono stati fatti dei tentativi, presso le autorità Brasiliane, affinché l’Unione adempisse al suo dovere costituzionale e combattesse le attività illegali e criminali che stanno colpendo il popolo Yanomami e altri popoli indigeni.
La pressione internazionale (resa possibile anche dalla visibilità data dai media) e la mobilitazione di organismi internazionali, come l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) a cui ha dato motivo la situazione che sta soffrendo il popolo Yanomami, sembrano lasciare uno spiraglio perché alcuni provvedimenti siano presi, in modo da interrompere un genocidio che dura da decenni ma che si è aggravato negli ultimi anni.
Per celebrare i trent’anni dall’omologazione della TIY, centinaia di rappresentanti di più di 25 comunità Yanomami e di diverse associazioni indigene, si sono riunite nella comunità di Xihopi, nei giorni dal 22 al 26 maggio 2022, partecipando al Forum dei leader Yanomami e Ye’kwana. L’evento ha fatto memoria di una conquista e di una lotta, ma ha posto l’attenzione sulla tragedia e sul lutto che coinvolgono il territorio indigeno. Numerose sono state le testimonianze di coraggio e gli appelli per evitare una catastrofe molte e molte volte annunciata.
Le parole pronunciate da Davi Kopenawa sono risuonate come un drammatico grido di allerta. Riferendoci appena ad una località specifica, possiamo concludere che, in quanto si sta appurando la sequenza di fatti criminali avvenuti contro la comunità Sanöma di Aracaça (regione di Waikás, fiume Uraricoera, Terra Indígena Yanomami, Roraima), il crimine di stupro e di assassinio che sono sotto investigazione da parte delle autorità competenti, ha finalmente fatto emergere un contesto di violenza e distruzione colpevolmente tollerato per troppo tempo.
(Di Padre Corrado Dalmonego Missionario della Consolata da Boa Vista)