“Tutti, tutti sono rimasti attoniti dopo l’omicidio di Moise… La gente è sconvolta e chiusa in casa, non sono tornati alla normalità, stanno aspettando il prossimo passo. Cosa sta succedendo ad Haiti? Siamo tutti in attesa”.
A parlare è Maddalena Boschetti, missionaria fidei donum della diocesi di Genova, da 18 anni ad Haiti.
Al telefono da Mare Rouge, dove si trova in missione, Maddalena ci racconta la grande confusione (politica) e il clima di violenza permanente che regnano da almeno 20 anni nel Paese caraibico.
Tutto ciò appare accentuato in queste ore dal brutale omicidio del presidente Jovenel Moise, ucciso in casa da un commando armato di mercenari, e colpito assieme alla moglie che sembra essersi salvata.
“Vengono fatti degli inviti dalle autorità a tornare alla normalità, ma chi la garantisce questa normalità? Chi ha autorità in questo momento in Haiti?”, si chiede la donna.
Le chiediamo di raccontare il precario equilibrio sul quale si regge un Paese dominato da gang armate, e afflitto da una povertà che non ha eguali, accentuata da un grande disagio sociale.
“Qui la gente non deve solo lottare per trovare da mangiare, ma anche per sopravvivere alla fortissima violenza: è un Paese pericoloso, soprattutto nella capitale Port au Prince”, dice.
“Noi viviamo in una zona rurale, relativamente tranquilla, ma trovare da mangiare per le persone è un’impresa ogni giorno”.
Maddalena Boschetti si trova nella zona nord-occidentale di Haiti, dove si occupa di bambini disabili ed è in costruzione una nuova sede per le attività a loro dedicate.
“La stiamo costruendo grazie ad un finanziamento dell’8X1000 della Cei – dice e siamo davvero molto grati alla Chiesa italiana, perchè è solo grazie a lei se possiamo occuparci di questi bimbi”.
La fidei donum, legata ai missionari camilliani, dice: “sento che lo sguardo di fede e la missione fanno tutta la differenza possibile qui: siamo esattamente nel posto giusto, siamo dove dobbiamo essere!”.
“La sopravvivenza quotidiana e lo sforzo fatto ogni giorno per non soccombere”, dice, sono una fatica enorme e una croce portata da un popolo che “è stanco di combattere”.
“C’è un’aggressività latente ad ogni livello qui ad Haiti: le singole persone, le istituzioni, tutti, usano una forma di violenza che serve a difendersi e ad attaccare”.
“Io penso che in questo omicidio siano coinvolti dei mercenari assoldati inizialmente per qualche altro incarico… Non si capisce davvero chi è il buono e chi è il cattivo qui”.
Ma cosa accade in questa Repubblica dei Caraibi alle prese con una totale assenza dello Stato?
L’ex colonia francese è il Paese dei colpi di Stato, della manipolazione a distanza e delle conseguenze più deleterie della guerra fredda.
“Dal 2002 al 2004 c’è stata la guerra civile: all’epoca il presidente Aristide è stato deposto e inviato in Sudafrica – spiega – Da lì in poi sono cambiati gli attori ma non la sostanza e non la dinamica di questi avvicendamenti. La violenza è proseguita.
Non si sa cosa sia un partito, cosa sia il dialogo, si vive alla mercè delle gang armate, assoldate ora dalla maggioranza ora dall’opposizione; poi c’è stato il terremoto nel 2010 e il Paese non si è più ripreso”.
In tutto questo caos che pare un inferno i cui fili vengono sempre manovrati altrove, e dove gli Stati Uniti hanno sempre giocato un ruolo, il popolo non ha certezze, vive senza garanzie, senza difesa e senza pane.
“I poveri lo diventano sempre di più, noi ad esempio siamo lontani dalla grande città ma subiamo tutte le conseguenze di questi sconvolgimenti politici, perchè si ripercuotono sulla gente comune”, spiega Maddalena.
La missionaria ci tiene a spiegare quanto quello che lei e l’equipe di persone locali fanno per i bambini disabili (attività, fisioterapia, classi speciali e artigianato) sia il frutto dell’aiuto che viene da Roma e dalla diocesi di Genova, dalla generosità delle parrocchie.
I bimbi disabili non sarebbero con ogni probabilità considerati degni di aiuto e sostegno, se non fosse per la missione cattolica.
“Ad Haiti la parola bianco vuol dire straniero, c’è molta diffidenza: ma sotto sotto c’è una storia di schiavitù, una sofferenza atavica che viene fuori quando ci si trova contatto con lo straniero. E’ difficile vivere e riconoscersi uguali. L’attenzione all’ultimo e al non desiderabile è legato solo allo sguardo di fede”.
(Nella prima delle foto pubblicate nell’articolo, la nuova sede per le attività con i bambini disabili, in costruzione grazie ai fondi dell’8xmille)