Nella diocesi di Butembo-Beni, nel Nord Kivu, regione Est della Repubblica Democratica del Congo, non si fermano i massacri.
Il nuovo anno si è aperto con l’ennesima strage: circa 20 persone sono state trucidate (nella modalità peggiore, come oramai avviene da anni in questa zona), in una parrocchia a 20 km da Butembo, nel più totale silenzio dello Stato. Questo ultimo massacro è avvenuto in concomitanza con la visita a Butembo del Cardinal Fridolin Ambongo Besungu di Kinshasa, dal 27 al 31 dicembre scorso.
La denuncia di queste atrocità arriva da monsignor Melchisédech Sikuli Paluku, vescovo di Butembo-Beni, che in un video-messaggio molto coraggioso, fatto recapitare a Roma tramite Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione pontificia, parla di “indifferenza della autorità competenti”.
Clicca qui per il video-messaggio del vescovo.
“E’ l’ennesimo massacro nella diocesi e davanti al silenzio vergognoso, come dice il Santo Padre, e l’indifferenza delle autorità ci sentiamo proprio abbandonati – dice monsignor Paluku – Con la speranza che tutto il mondo possa ascoltare e che ognuno possa fare qualcosa per cambiare questa situazione, perchè la povera gente soffre ed è ammazzata”.
Il vescovo non fa riferimento all’Adf, il gruppo terroristico che imperversa da anni ed è ritenuto responsabile anche di questi ultimi massacri, ma dice che “in un anno si calcola che quasi un migliaio di persone siano state trucidate e i media del nostro Paese non ne parlano. Sembra che lo Stato non esista, e questo si ripete nel territorio di Beni da 14 anni. Ci sono massacri su massacri e le autorità discutono su chi prenderà quale ministero…”.
Finora solo la Chiesa africana ha raccolto il grido di disperazione della popolazione congolese del Nord Kivu. Da domani una delegazione episcopale dell’Africa Centrale dovrebbe essere presente a Beni, in segno di vicinanza e solidarietà al suo popolo. Ce lo conferma una fonte missionaria a Butembo-Beni: padre Gaspare Trasparano che ha sempre denunciato i massacri.
“In questi giorni c’è stato uno spostamento enorme di popolazione dalle parrocchie più colpite, un esodo, soprattutto dai villaggi delle montagne Rwenzori”, spiega al telefono con noi il comboniano padre Gaspare.
E vista la gravità della situazione, “i vescovi dell’Africa Centrale, con una commissione speciale di delegati dal Congo, a partire da domani, saranno qui a Beni per vivere la prossimità con il loro popolo”, aggiunge il comboniano.
La tensione è molto alta, precisa il missionario e perciò “stiamo vivendo una novena speciale, dall’11 al 19 gennaio, con l’esposizione del Santissimo Sacramento in tutte le chiese, per chiedere la pace”.
Il timore, dice, è che l’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila (scalzato dall’attuale, Etienne Tshisekedi) stia manovrando i fili di quella che sempre più spesso viene definita “balcanizzazione” del Paese.
Ma che succede in questa regione del Congo e perchè si continua ad uccidere?
In un dossier di qualche mese fa, pubblicato dalla diocesi di Butembo si legge che “la popolazione civile di Beni e Lubero è soggetta a massacri pianificati, assassinii mirati di individui influenti e rapimenti orchestrati ed eseguiti da stranieri, presumibilmente ribelli dell’Adf (Allied Democratic Forces), un gruppo ugandese che opera su territorio congolese in tutta impunità dal 1986“.
L’Adf è guidato dall’ugandese Musa Seka Baluku.
Dal 2012 ad oggi le sparizioni forzate – oltre 800 persone sono state rapite e di loro non si sa più nulla – e “le esecuzioni sommarie hanno gettato nella disperazione migliaia di famiglie congolesi, sotto gli occhi delle autorità militari e politico-amministrative del Congo”, denuncia ancora il documento della diocesi che è molto esplicito e non usa mezzi termini.
Ma perché proprio a Beni? Anzitutto, come svela il Terrorism Monitor di The Jamestown Foundation, istituto di analisi di Washington, Beni è vicina al Virunga National Park e alla foresta di Ituri e alle montagne di Rwenzori, luoghi selvatici e non sorvegliati che sono diventati il quartier generale dell’Adf da decenni.
Questo gruppo armato affonda le sue radici nel Tabliqi Jama’at, un movimento islamico che dichiarò di essere perseguitato politicamente negli anni Novanta. Alcuni degli affiliati, lasciarono in quegli anni la capitale Kampala in Uganda per rivendicare supposti diritti all’interno di un movimento separatista che si era rifugiato sulle montagne Rwenzori.
Ma i missionari comboniani di questa diocesi ci assicurano che non c’è alcun legame tra i gruppi armati e la religione islamica. Il motivo dei massacri non è una discriminazione religiosa. Tant’è vero che nel mirino dei terroristi ci sono anche cittadini di religione islamica. La persecuzione “è piuttosto politica ed economica”, dice padre Gaspare Trasparano, comboniano a Beni.
“Ho potuto testimoniare molto da vicino l’inaccettabile miseria di una popolazione traumatizzata e moralmente indebolita – ha dichiarato il cardinal Ambongo in una conferenza stampa, il 3 gennaio scorso, come riporta Angelus News – Ho visto villaggi vuoti e campi abbandonati”.
Molto indicativa è la sua successiva affermazione: “Queste sono azione calcolate e pianificate, la cui regolarità, rivela chiaramente l’obiettivo di ‘balcanizzazione’ del nostro Paese”.
“Questi massacri ripetuti – si legge ancora nel report della diocesi di Butembo – ricordano il mudus operandi del genocidio ruandese: massacri all’arma bianca (uso di maceti, asce e coltelli), espulsione dai campi».
La desertificazione delle terre ha degli obiettivi ben precisi: “tagliare alle città di Beni e Oicha i principali mezzi di sostentamento per asfissiarle e condurle alla fame”.
(La foto di apertura è tratta dal sito delle Nazioni Unite).