«La parola giusta, quella che dovremmo usare se volessimo davvero parlare di quanto accade nel Kivu, ad est del Congo, è genocidio».
Esattamente «come di genocidio ruandese tra Hutu e Tutsi» si parlò portando all’attenzione del mondo un crimine contro l’umanità.
La denuncia viene dal vescovo della diocesi di Butembo-Beni, monsignor Melchisedec Sikuli Paluku, intervistato da Popoli e Missione on-line in occasione della sua visita a Roma.
«Non parlo semplicemente di persone uccise, parlo di massacri veri e propri: di donne incinte squarciate, di cose che non si possono ripetere e guardare due volte, sono tragedie che noi vediamo ogni giorno», racconta.
Il vescovo è certo che «il peccato originale di tutta questa crisi ventennale in Congo risiede proprio nel Ruanda, che da vittima si è fatto aggressore» e manovra le attività criminali del gruppo armato M23 al confine tra Kivu e Ruanda.
Sappiamo che questa regione del Paese, nella parte orientale dei Grandi Laghi, «è ricca di tutte le maggiori risorse, dal coltan al petrolio, e il motivo per cui è così contesa sono proprio le sue ricchezze».
Il presule lancia un appello per far luce sulla verità, così come vuole il Santo Padre:
«il papa sa tutto e non ha mai taciuto davanti a questa ecatombe: io l’ho ripetuto anche al numero due dell’Onu.
Quando il Papa parla del silenzio del mondo, sa che nessuno denuncia perchè lì ci sono le materie prime per gli interessi economici e la popolazione che muore non conta niente».
E ancora:
«Il sangue dei congolesi scorre dentro quelle tecnologie che noi usiamo grazie ai minerali che servono a farle funzionare», dice, riferendosi al commercio di coltan e cobalto estratto illegalmente nella regione dei Grandi Laghi e rivenduto dal Ruanda.
«Io mi sento impotente – confida – perchè sono una creatura umana però allo stesso tempo so che c’è qualcuno sopra di me, che ‘uomo non può pretendere di costruire la Storia, c’è l’imponderabile, esiste sempre un intervento divino».
Monsignor Paluku conferma che le diocesi più martoriate sono quelle di Butembo-Beni, Goma e sud Kivu, tra Bukavu e Uvira.
«C’è una totale mancanza di governance in Congo, e non ci si prende cura degli interessi del popolo; noi abbiamo bisogno della pace».
Alla domanda se non tema per la sua stessa vita risponde: «Io paura? Dico sempre che la mia vita è nelle mani di Dio, sono vescovo da 25 anni, era il 2 agosto 1998 quando sono stato ordinato sotto le bombe e il conflitto non è mai cessato».
In questo momento la condizione peggiore è quella del villaggio di Bunagana, ad est, conquistato dai guerriglieri M23 il 13 giugno scorso: qui la gente vive nella paura, soggetta ad una continua minaccia di morte.
Oltre a Bunagana ci sono diversi villaggi appartenenti a quattro raggruppamenti diversi nelle mani dei guerriglieri dell’M23, appoggiati dal Ruanda, come accusa da tempo il governo di Kinshasa.
La missione delle Nazioni Unite, Monusco, contestata dalla popolazione per la sua inerzia, ha annunciato di voler abbandonare il campo.