Più di 121mila migranti sono entrati dalla Colombia a Panama tra gennaio ed ottobre dello scorso anno, attraversando il Darién Gap, una fitta foresta pluviale montuosa e paludosa di 25mila chilometri quadrati.
Il viaggio a piedi può durare da cinque a 15 giorni, a seconda delle condizioni atmosferiche, della resistenza fisica dei migranti e dell’abilità delle guide, i cosiddetti coyote che accompagnano dietro lauti compensi gruppi di disperati provenienti da tutto il mondo: dall’Africa, dall’Asia meridionale, dal Medio Oriente e dai Caraibi.
Disperati che rischiano la vita nella speranza di raggiungere il “sogno americano” negli Stati Uniti.
Qui non esistono strade e i pochi sentieri sono pieni dei cadaveri di chi non ce l’ha fatta, perché molti muoiono ogni settimana durante la traversata.
Il Darién Gap è una delle regioni più pericolose del mondo, un corridoio controllato dal narcotraffico dove hanno il loro habitat naturale feroci giaguari, serpenti velenosi ed avvoltoi pronti ad attaccare chi cade a terra, morente.
Dal tempo dei conquistadores spagnoli, esploratori, ingegneri ed avventurieri di ogni risma hanno cercato in ogni modo di conquistare il Darién Gap, ma tutti hanno sempre miseramente fallito.
Il tentativo di stabilire una colonia scozzese alla fine del XVII secolo finì addirittura per mandare in bancarotta il governo di Edimburgo.
Poi arrivarono gruppi di geometri convinti che questo fosse il luogo migliore per costruire un canale di collegamento tra Oceano Atlantico e Pacifico, visto che qui la striscia di terra che unisce Colombia e Panamá è larga solo 177 chilometri. Ma fallirono anche loro.
Nel 1854, un gruppo di ingegneri della Marina degli Stati Uniti si perse nella giungla mentre tentava di prendere le misure di questo istmo naturale per costruire il fantomatico canale: i sette morirono di fame e furono poi ritrovati solo i loro scheletri.
Più recentemente, quando l’autostrada Panamericana che unisce il Sud America al Messico fu costruita, negli anni Trenta del secolo scorso, l’unico pezzo mai completato fu proprio quello del Darién Gap, inaccessibile perché troppo scosceso e paludoso, con frane all’ordine del giorno.
Un inferno insomma, dove gli unici che riescono a viverci sono i pochi indigeni che lo popolano da millenni, nutrendosi di bacche, banane e cacciagione. E i narcos, ovviamente.
Da una trentina d’anni, infatti, questo lembo di terra è il rifugio privilegiato dei guerriglieri colombiani delle FARC e di una una fazione paramilitare di estrema destra.
Poiché si trova al confine con Panamá, questa giungla che negli ultimi 12 mesi si è trasformata nella nuova Lampedusa dei migranti, è un itinerario centrale per trasportare armi e cocaina dal Sudamerica al Nord perché il suo isolamento e l’assenza di qualsiasi autorità governativa lo rendono un luogo ideale per i gruppi criminali che ne controllano gli ingressi sul fronte di ingresso colombiano.
Oltre a combattersi tra loro, queste organizzazioni dedite al narcotrafico puniscono chiunque si avventuri nella giungla senza il loro permesso.
Nel corso degli anni, missionari, cacciatori di orchidee e viaggiatori con lo zaino in spalla sono stati rapiti e nel 2013, i ribelli delle FARC vi uccisero un turista svedese sospettato di essere una spia.
Da sei anni i guerriglieri si sono però ritirati dal Darién Gap, grazie allo storico accordo di pace con il governo colombiano siglato nel 2016.
Anche i paramilitari si sono ufficialmente smobilitati a metà degli anni 2000, ma molte delle loro fazioni si sono riorganizzate proprio qui in potenti cartelli della droga, il più grande dei quali è quello degli Urabeños.
Questo gruppo paramilitare che domina la regione tollera i migranti purché non interferiscano con il loro traffico di droga o non attirino l’attenzione delle autorità di Bogotá.
È una convivenza difficile, e quando il flusso di migranti minaccia le loro attività, gli Urabeños intervengono con ferocia.
Lo scorso anno, ad esempio, il gruppo ha ucciso un contrabbandiere per dare l’esempio dopo che alcuni coyote avevano sfidato un divieto imposto temporaneamente dai narcos. Più di recente, si è diffusa la voce che gli Urabeños abbiano giustiziato un trafficante per aver violentato due migranti cubane.
È difficile sapere fino a che punto il loro controllo si estenda sino a Panama, ma di certo il gruppo criminale determina chi entra e chi no nel Darién Gap e, soprattutto, quanto si deve pagare per passare dall’altra parte.
Nonostante tutto ciò, questo contesto davvero infernale non ha impedito a 121mila persone in fuga dalla miseria e dalle guerre nei loro Paesi di tentare la traversata del Darién Gap nel 2021, l’anno con il più grande flusso migratorio che Panama abbia mai registrato nella sua storia.
Molte delle bande di coyote che accompagnano i migranti li abbandonano, li derubano e abusano sessualmente delle donne che tentano di attraversare una distanza di circa 50 chilometri nella foresta vergine che separa le città di Acandí, in Colombia, da Bajo Chiquito, a Panama.
Quando arrivano a bordo di canoe a motore i migranti vengono portati a La Peñita, un villaggio che funge da centro di smistamento dei migranti in uscita dal Darién Gap.
Di fronte al centinaio di abitanti, a La Peñita si radunano ogni giorno sino a 1.200 migranti, per lo più in tende e hangar, mentre un grande magazzino è stato riconvertito in un dormitorio.
Per loro ci sono solo una dozzina di bagni chimici portatili, tutti in condizioni igieniche pessime. In una roulotte, i migranti consegnano i loro passaporti, si fanno scansionare l’iride e prendere le impronte digitali; le informazioni vengono inviate al sistema di registrazione biometrica degli Stati Uniti.
La maggior parte dei migranti viene controllata entro un paio di settimane e, poi, aspetta il proprio turno per salire a bordo di un autobus che li porterà in un campo profughi al confine con il Costa Rica.
Tuttavia, per i migranti provenienti da Paesi che gli Stati Uniti ritengono di “interesse speciale” (ovvero sospetti di ospitare terroristi, come ad esempio il Pakistan), l’attesa può durare mesi.
Nel 2020, l’Unicef ha contato che più di 20mila bambini e oltre 3.000 donne incinte hanno attraversato il Darién Gap mentre, dallo scorso novembre, il 65% di chi tenta di attraversare questa giungla inospitale sono haitiani, che emigrano a causa della grave crisi politica ed economica del loro Paese.
Ma tra chi tenta la traversata ci sono soprattutto cubani, venezuelani, ma anche tanti camerunesi e pakistani.